Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

Incipit: “Un Leopardi del Novecento
Collocare Pier Paolo Pasolini tra i precursori della decrescita è la proposta challenging, sfidante, come dicono gli americani, ma certamente ben fondata, che mi ha lanciato Serge Latouche. E occorre dire che il maturo Pasolini, lo scrittore di saggi e articoli della prima metà degli anni Settanta del ‘900, si presta agevolmente alla sfida. Sempre che, beninteso, non si pensi alla decrescita come a un programma politico circostanziato o, peggio, a un disegno di generale regressione sociale.

Sono passati 39 anni dalla morte di Pier Paolo Pasolini ((1922-1975). Il mistero che incombe sulla sua morte, giudiziariamente parlando, è ancora fitto e forse lo sarà per sempre. Ma i suoi scritti non cessano di stupire per quanto la sua genialità aveva precorso i decenni. Per quanto era lucida, penetrante e rivolta in avanti.
Pier Paolo guardava al futuro senza mai prescindere dal passato che poneva come costante matematica, vedendo nel futuro l’incognita. Vale a dire come un’entità che non è nota ma può essere calcolata con una buona approssimazione sulla base di valori dati. Dunque, ciò che sta accadendo oggi in tutti gli ambiti del vivere sociale, lui, in una certa misura, lo aveva intuito già negli anni della sua maturità.
Pier Paolo Pasolini sapeva.
Sapeva e scriveva, spargendo le sue intuizioni qua e là negli scritti: saggi, articoli, romanzi, perfino sceneggiature. E sicuramente la sua capacità di leggere dietro ai fatti, ai fenomeni, dietro alle persone, dietro ai movimenti, non poteva essere apprezzata da chi stava al potere.
Proprio per questa lucida capacità, oggi, il poeta controverso e scandaloso, il romanziere, il cineasta, il critico letterario che Pasolini è stato dialogano ancora con noi attraverso la sua saggistica radicale, dissacrante e profetica. 
In questo esile trattato di sole 63 pagine, pubblicato da Jaka Book nella collana diretta da Serge Latouche, il curatore Piero Bevilacqua, ordinario di storia contemporanea all’Università La Sapienza di Roma, estrapola dagli scritti pasoliniani: saggi, lettere, articoli, romanzi brevi, quelle trasformazioni della nostra società che PPP nei lontani anni Sessanta e Settanta immaginava che sarebbero avvenute e che poi, di fatto, si sono verificate con le conseguenze che oggi sono sotto gli occhi di tutti e che fanno invocare da più parti un’inversione di marcia verso la decrescita.
C’è un solo piccolo neo, a mio giudizio, nell’ottimo lavoro del professor Bevilacqua ed è  la sua eccessiva presenza che, qua e là, pare sovrastare il pensiero di Pasolini stesso, dando a chi legge la sensazione che riflessioni e concetti siano ‘rielaborati’. O, meglio, reinterpretati. Riflessioni e concetti che, per la verità, sono perfettamente chiari come chiare sono sempre state le parole di Pier Paolo.
Lo consiglio

Piero Bevilacqua (a cura di)

PASOLINI. L’INSENSATA MODERNITA’

Jaca Book, 63 pagine, 7,65 euro anziché 9,00

Incipit: Avviso al lettore
Caro lettore, prendi fiato: stai per fare un salto nel tempo, una corsa a ritroso nella storia italiana, per scoprire il mistero del complotto che potrebbe aver provocato la morte di Enrico Mattei, il presidente dell’Eni precipitato nel 1962 con il suo aereo nella campagna pavese di Bascapé.
Ma stai per scoprire qualcosa di più.
Che quel complotto sarebbe stato orchestrato «con la copertura degli organi di sicurezza dello Stato», e poi occultato in un intreccio di omertà e depistaggi pronti a ricompattarsi ogni volta che, nella storia del Paese, qualcuno minaccia di rivelarne il segreto.
Per questo motivo sarebbe sparito nel nulla a Palermo il giornalista Mauro De Mauro, eliminato in circostanze misteriose per volontà di un mandante invisibile. Per questo motivo lo scrittore Pier Paolo Pasolini, ucciso ufficialmente in un’assurda lite tra «froci», sarebbe rimasto vittima di un agguato studiato a
tavolino. Come si legano i tre delitti? Un filo nero come il petrolio avvolge la fine di Mattei, De Mauro e Pasolini. È quanto afferma, nella sua complessa inchiesta giudiziaria sulla fine di Mattei, il pm Vincenzo Calia, costretto dopo nove anni di indagini a concludere il fascicolo con una richiesta di archiviazione per non aver raccolto prove sufficienti a inchiodare i colpevoli alle loro responsabilità.

Mattei, De Mauro, Pasolini. Tre vittime forse di un unico disegno criminoso. Ma non solo. Perché quel disegno era parte di un altro grande progetto che mirava a ridurre sempre più l’Italia a una colonia degli Usa.
Enrico Mattei, presidente dell’Ente nazionale Idrocarburi di cui era il padre padrone, mirava ad assicurare all’Italia un costante approvvigionamento di quella fonte energetica indispensabile a risollevare il paese dalla devastazione della guerra. Petrolio libico, erogato direttamente e senza intermediari. Cosa che non poteva piacere alle grandi compagnie atlantiche, le cosiddette Sette sorelle. Soprattutto non poteva ottenere l’approvazione del Paese che solo vent’anni prima aveva mandato i propri soldati a liberarci dai nazifascisti. L’amministrazione Usa, infatti, intravedeva nel progetto di Mattei un moto per così dire ‘insurrezionalista’. Come si permetteva quell’omino partito da nulla di puntare all’indipendenza energetica? E cos’ì, il piccolo aereo che il nostro petroliere utilizzava per i propri spostamenti venne sabotato. Ci fu ‘l’incidente’ e, guarda guarda, sul luogo dell’incidente accorsero per primi strani personaggi, fra cui Eugenio Cefis l’uomo che poi prese il comando dell’Eni e subito gli impresse una svolta diversa.
Mauro de Mauro. Giornalista dell’Ora di Palermo. La sua colpa fu di andar facendo troppe domande sull’incidente aereo di Bascapè. Il regista Franco Rosi gli aveva chiesto di avviare un’inchiesta sul disastro perché intendeva girare un film-dossier, oggi si direbbe docufilm, sulla figura di Mattei e sulle circostanze della sua morte. Fu rapito e ucciso col metodo della lupara bianca sotto casa sua, quasi a portata d’orecchio della figlia. Ma non era la prima volta che la mafia s’incaricava dei compiti sporchi per conto dei veri padroni d’Italia.
E Pasolini? Beh lui era un intellettuale col vizio di raccontare i fatti e di non accettare di sottostare a nessun padrino. Pensava con la propria testa, sapeva guardare avanti e aveva intravisto i contorni del ‘Grande Disegno’.

Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato "golpe" (e che in realtà è una serie di "golpe" istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del "vertice" che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di "golpe", sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli "ignoti" autori materiali delle stragi più recenti
… (Il resto dell’articolo si può leggere qui: http://www.corriere.it/speciali/pasolini/ioso.html)

Così aveva tuonato il 14 novembre 1994 dalle pagine del Corriere della Sera. Si poteva lasciare in vita un personaggio tanto scomodo? E infatti un anno dopo, esattamente il 2 novembre 1975 fu ordito l’agguato dell’Idroscalo di Ostia, nel corso del quale fu massacrato mentre  il suo ultimo romanzo-dossier Petrolio, iniziato nel 1972 (e pubblicato postumo e incompleto nel 1992) rimaneva  incompiuto.

Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza

PROFONDO NERO. Mattei, De Mauro, Pasolini. Un’unica pista all’prigine delle stragi di Stato

Chiarelettere, 295 pagine,  12,41 euro anziché 14,60 su internetbookshop. Dis ponibile anche in formato eBook a 9.99 euro

Incipit: Introduzione di Marco Travaglio
Quando, nel febbraio del 2013, iniziai a portare nei teatri d’Italia il recital È Stato la mafia, mi domandai quanti cittadini avrebbero pagato un biglietto per ascoltare una storia così terribile e disperante. Il supporto di un produttore incosciente come Marcello Corvino di Promo Music e soprattutto l’adesione entusiastica di un’attrice brava e coraggiosa come Isabella Ferrari erano un buon punto di partenza e un grande incoraggiamento.
Ma, si sa, il teatro è un luogo rischioso: o la gente viene o le sale restano vuote. Fortunatamente, nelle cinquanta repliche di questo spettacolo ben poco spettacolare, di sale deserte non ne abbiamo trovate e di posti vuoti ne abbiamo visti davvero pochi. Il più delle volte, anzi, i teatri erano tutti esauriti. E, a causa dello stato comatoso in cui versa il comparto della prosa in Italia, non abbiamo potuto raggiungere molte città che ci avrebbero accolti
a braccia aperte.
Prologo.
Ci sono diversi modi per raccontare la trattativa Statomafia. Il primo è quello dei politici, dei grandi giornali e delle tv: la presunta trattativa, la supposta trattativa, la pretesa trattativa, la cosiddetta trattativa. Forse, magari, chissà.
Il secondo è quello che raccontano le sentenze e i protagonisti.
Le sentenze sono quelle – definitive – dei processi celebrati a Caltanissetta sulle stragi di Palermo del 1992 (Capaci e via D’Amelio) e a Firenze sulle bombe di Firenze in via dei Georgofili, di Milano in via Palestro e di Roma alle basiliche di San Giovanni in Laterano e di San Giorgio in Velabro. Scrivono i giudici della Corte d’assise di Firenze (verdetto confermato fino in
Cassazione): “I testimoni hanno espressamente dichiarato che la controparte
mafiosa della trattativa erano i «corleonesi»; anzi, direttamente Riina. Brusca ha confermato che della trattativa gli parlò personalmente Riina. [...] I testi hanno dichiarato che si mossero dopo la strage di Capaci; il col. Mori entrò in scena dopo la strage di via D’Amelio [...]. In ciò che ha raccontato Brusca vi è quanto basta per essere certi del parallelismo tra la vicenda raccontata da lui e quella raccontata dal gen. Mori e dal cap. De Donno [...]. L’iniziativa del Ros aveva tutte le caratteristiche per apparire come una «trattativa»; l’effetto che ebbe sui capi mafiosi fu quello di convincerli, definitivamente, che la strage era idonea a portare vantaggi all’organizzazione. Sotto questi profili non possono esservi dubbi di sorta, non solo perché di «trattativa», «dialogo», ha espressamente parlato il capitano De Donno (il generale Mori, più attento alle parole, ha quasi sempre evitato questi due termini), ma soprattutto perché non merita nessuna qualificazione diversa la proposta, non importa con quali intenzioni formulata (prendere tempo; costringere il Ciancimino a scoprirsi; o altro) di contattare i vertici di Cosa nostra per capire cosa volessero (in cambio della cessazione delle stragi). Qui la logica si impone con tanta evidenza che
non ha bisogno di essere spiegata.

Su questo libro, che mette sulla carta i testi dei recital portati sui palcoscenici di molte città d’italia dallo stesso Travaglio e dalla voce narrante di Isabella Ferrari, c’è poco da dire se non che la sua puntuale, minuziosa attualità si esplica a mano a mano avanza l’iter processuale sulla trattativa Stato-mafia. Da quel bravo contabile degli scandali politici e finanziari che  è sempre stato, Travaglio come al solito riannoda tutti i fili che si perdono nelle lungaggini della giustizia semplicemente spiegandone, con parole chiare e con ironia, ogni passaggio.  E peggio per chi ancora una volta perde l’occasione di informarsi su cosa è stato fatto a nostra insaputa da chi avrebbe dovuto tenerci al riparo dalla rapacità dei politici che per decenni si sono appoggiati a gruppi sanguinari lasciandoli crescere a dismisura, fino a non essere più in grado di controllarli se non cercando di venire a patti con loro.
Ma la trattativa c’è stata? Sissignori, altroché se c’è stata. Lo dicono i processi e le condanne. E di recente non lo ha negato neppure il presidente della repubblica, escusso dai magistrati di Palermo alla presenza dei difensori degli indagati, fra cui quello di Totò Riina, proprio come un qualsiasi cittadino.
Da più di due decenni uomini ai vertici delle istituzioni, della politica, delle forze dell'ordine, dei servizi e degli apparati di sicurezza custodiscono con la massima omertà i segreti riguardanti accordi innominabili con i boss mafiosi. Accordi stipulati mentre il sangue delle vittime innocenti era ancora fresco: Giovanni Falcone e Francesca Morvillo, poi Paolo Borsellino e gli uomini delle rispettive scorte. E poi le vittime delle bombe di Palermo, Firenze, Milano e Roma. E su quei segreti e su quei silenzi sono state costruite carriere , si sono scambiate poltrone, sono stati conferiti incarichi prestigiosi.
Il libro, che viene venduto insieme al CD-rom dello spettacolo, è aggiornato con i risvolti più recenti della cronaca, fra cui le intercettazioni delle telefonate intercorse fra l’ex ministro Nicola Macino e il Presidente della Repubblica Napolitano.

Marco Travaglio

E’ STATO LA MAFIA

Chiarelettere, 153 pagine, 12,66 euro anziché 14,90 (nel prezzo è compreso il Dvd) su internetbookshop. Disponibile anche in formato eBook a 9,99 euro.

Incipit:
Dall’introduzione: “Una constatazione. Prima si è tentato con le bombe, ora con il più vergognoso e ignobile degli scandali. Occorre rimanere saldi e reni. Penso sia giunto il momento di fare un esame chiaro dell’attuale realtà italiana per trarne conclusioni forti ed efficaci. Il grande problema che dobbiamo tutti insieme – capo dello Stato, potere legislativo esecutivo e giudiziario – affrontare e risolvere è quello di fare giustizia nei confronti di chi ha commesso fatti gravi contro la legge e al tempo stesso di non recare danno alla vita dello Stato e alla sua immagine nel mondo. Nessuno può stare a guardare di fronte a questo tentativo di lenta distruzione dello Stato, pensando di esserne fuori. O siamo capaci di reagire, considerando reato il reato, ma difendendo ad oltranza e gli innocenti e le nostre istituzioni repubblicane, o condanniamo tutto il popolo e noi stessi ad assistere a questo attentato metodico, fatale alla vita e all’opera di ogni organo essenziale per la salvezza dello Stato. Democratico!
A questo gioco al massacro io non ci sto!

Oscar Luigi Scalfaro
(Presidente della Repubblica dal 1992 al 1999.
Testo del messaggio indirizzato
alla Nazione il 3 novembre 1993,
trasmesso a reti unificate dalle televisioni).

Non chiedete a questo romanzo un finale consolatorio in cui il bene vince sul male, in cui il commissario di turno sbaraglia i cattivi e le vittime vengono vendicate dal trionfo della verità e della giustizia. Questa è una storia che, come tante altre, si ispira alla realtà ma che, diversamente dalle altre, non verrà manipolata per far risultare più accettabile al lettore la sua vera essenza. In questo bel libro di Adele Marini, ormai collaudata scrittrice di noir che sono qualcosa di più del semplice noir, le cose vanno come vanno davvero. Come vanno realmente. La verità e la giustizia – come accade quasi sempre – non vincono affatto e i cattivi la fanno franca perché dispongono di quella dose di impunità che caratterizza il lavoro dei sevizi segreti, che si chiamano segreti proprio perché possono delinquere a loro piacimento. In segreto. Senza che si sappia.
L’ambientazione di “Io non ci sto” vale da sola la lettura del libro. Siamo all’inizio degli anni Novanta, anni cruciali per gli intrighi della nostra intelligence, in uno spazio temporale che si muove tra Roma e Milano. Sono gli anni della Trattativa Stato-mafia cominciata a cavallo dell’eliminazione di due magistrati di punta, delle autobombe parlanti messe al Vicariato di Roma, e sempre nella capitale alla chiesa del Velabro, a via Fauro, a quell’ingorgo massonico che sono i Georgofili di Firenze, e ancora a via Palestro a Milano. Bombe parlanti, dicevamo, perché chiedono, anzi pretendono qualcosa di vitale per la sopravvivenza di Cosa nostra. E indirizzate a chi solo può capire il messaggio cruento. Ma sono anche gli anni delle ruberie del Sisde, uno scandalo annegato e sepolto non appena uno degli imputati confessò che ogni mese i ministri dell’Interno in carica ricevevano una busta con dentro 100 milioni di lire. E non a caso tra costoro vi era l’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro che pronunciò la famosa frase che al libro dà il titolo: “Io non ci sto”. Lui non ci stette e tutta la polvere finì sotto il tappeto, tranne riemergere, nel caso almeno delle bombe, anni dopo con gli intrighi dei carabinieri con i capi di Cosa nostra.
Ma, attenzione, tutto questo nel libro della Marini non c’è. Resta evidente sullo sfondo perché la grande bravura dell’autrice – che per Misteri d’Italia cura questa rubrica - è quella di portare in primo piano i personaggi di quegli intrighi, quegli agenti segreti che – qualcuno ancora stenta a crederlo – hanno, ancora oggi (e non stiamo esagerando) le mani impastate di sangue in quasi tutti i fatti oscuri di questo paese. 
Alla trama di “Io non ci sto” non vogliamo dedicare neppure una riga per non rovinare la sorpresa al lettore. Basti la cornice per intuire il quadro. E il personaggio principale del libro: il commissario Marino, napoletano trasferito al nord. Un uomo, chiuso in se stesso, scorbutico, pieno di difetti ma con un grande pregio. Lui, “la puzza di servizi”, la sente anche a distanza. 
Tutto da leggere.

Adele Marini

IO NON CI STO. Le ombre del commissario Marino

Feltrinelli, 255 pagine, 13,50 euro anziché 18,00 su internetbookshop. Disponibile anche in formato eBook a 9,99 euro

Incipit: Gli anni del rogo. Negli annali della lotta alla mafia potrebbero essere ricordati come gli anni del rogo. Il rogo delle telefonate dello scandalo. Il rogo delle telefonate fra Nìcola Mancino e Giorgio Napolitano, che la Corte costituzionale prima e la Cassazione poi hanno disposto che andassero distrutte. Che rimanessero per sempre top secret e finissero nell’inceneritore. Un rogo voluto perché restassero sconosciuti i contenuti di quattro colloqui fra un imputato per falsa testimonianza e un presidente della Repubblica. Brutta storia per le istituzioni repubblicane. Eppure, nonostante tutto, questa storia continua.

Altroché se questa storia continua. Nel momento in cui scriviamo è stata ammessa la testimonianza del presidente Napolitano, ascoltato al Quirinale, alla presenza dei difensori delle parti in causa, compresi quelli dei boss mafiosi Riina e Provenzano. E questo dice già molto sull’argomento dell’escussione: la mafia. O, più esattamente, la trattativa condotta da uomini delle istituzioni con i boss: i sanguinari corleonesi, perché ponessero fine alle stragi. Cosa che poi, di fatto avvenne.
Cosa si sa realmente della ‘trattativa’ diventata di colpo l’argomento del giorno, quello di cui si parla dappertutto senza però conoscerne le vere, profonde, oscure motivazioni, nonché gli effetti sull’ordinamento democratico e le conseguenze sulla vita dei cittadini. Quale fu il vero ruolo della mafia? Fin dove si spinsero i vertici dello Stato. Chi era a conoscenza dei fatti e lo ha negato e chi invece ha millantato una conoscenza che era lungi dall’avere?
Vicenda scivolosa quella del coinvolgimento dei vertici democratici.
Scrive Saverio Lodato: Vicenda che non fa onore alle istituzioni, purtroppo senza tante eccezioni. […] La procura di Palermo che da quasi un decennio indagava sui retroscena non conosciuti delle stragi di Capaci, via D’Amelio, Roma, Milano e Firenze – e in una sintonia di fondo con le Procure di Caltanissetta e Firenze, anche se non sono mancati inevitabili strappi e momentanee difformità di vedute- a un certo punto si è imbattuta  in Mancino.
Eccolo il primo protagonista. Nicola Mancino, l’onnipresente, l’uomo-Stato avendo ricoperto in passato le cariche di presidente del senato, vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura e, soprattutto, essendo stato nominato ministro degli Interni il primo luglio 1992, cinque settimane dopo la strage di Capaci e due settimane prima quella di via d’Amelio.
Ma cosa c’entra quel primo luglio con la trattativa? C’entra, eccome, perché è ormai acclarato che il giudice Salvatore Borsellino fu assassinato proprio per esservisi opposto. E proprio per questo quel giorno aveva piantato a metà l’interrogatorio di Gaspare Mutolo per precipitarsi al Viminale, dal  neo insediato Mancino. Un incontro che il ministro negò sempre, arrivando a dire di non sapere che faccia avesse il magistrato più famoso d’Italia dopo Giovanni Falcone. E, quanto al presidente Napolitano, il suo coinvolgimenti è indiretto essendo stato lambito per l’interessamento, si immagina esasperato, del suo consigliere Loris D’ambrosio.
Forse non sarà mai dato appurare fino in fondo chi sapeva e cosa sapesse. E non soltanto a proposito della trattativa. Per quanti sforzi facciano i magistrati antimafia, continueranno a permanere ombre sui contatti che gli uomini delle istituzioni, a partire dai vertici, ebbero con i mafiosi. Ma che almeno si conoscano gli scenari su cui i protagonisti, positivi e negativi,  di questa infinita storia tutta italiana, si sono mossi dal primo dopoguerra in poi. Che si sappia quali furono e quali continuano a essere gli interessi in gioco.
E’ questo lo spirito che anima le pagine di questo libro: un lavoro completo e aggiornato sulla “guerra infinita” della criminalità organizzata allo Stato.
Ecco, sì, che almeno le cose si sappiano!

Saverio Lodato

QUARANT’ANNI DI MAFIA. Storia di una guerra infinita

Best BUR, 892 pagine, 11,82  euro anziché 13,90 su internetbookshop. Disponibile anche in formato Ebook a 7,99 euro

Incipit: Marito e moglie uscirono salutando i vicini, Cesare e Teresa, sulla porta di casa.
“Allora, vi volete muovere? Altrimenti iniziamo a mangiare e a ballare senza di voi!” li minacciò con un sorriso Pietro Ferrari.
Il bracciante ventitreenne si era trasferito da Mede nella vicina Semiana dopo essersi unito in matrimonio con Erminia Zanacchi. Aveva trovato lavoro a Goito, minuscolo comune fra Mede e Semiana dove, nell’autunno del 1920, i lavoratori, dopo aver fondato una cooperativa, avevano assunto la gestione delle cascine Borella e Rivezza. Il fatto aveva inquietato non poco i grandi fittabili della zona, sempre più travolti dal fiume in piena di colore scarlatto chiamato Partito socialista e alimentato da vari affluenti: leghe contadine riunite nella federazione proletaria lomellina, cooperative, case del popolo, guardie rosse, ciclisti rossi.

Questa è una storia vera. Uno dei troppi capitoli oscuri del passato che l’autore ha rivestito con i panni del romanzo ma, sostanzialmente, rispettando i fatti realmente accaduti.
E’ la storia di Giulia Mattavelli, ‘la contessa’  che per la verità contessa non era e non diventò mai, perché il suo amante, il conte Carminati Brambilla non la sposò.
Umberto De Agostino, giornalista della Provincia Pavese, appassionato di storia della sua Lomellina ricca di conflitti e insanguinata dalla trucida brutalità dei fascisti, ha cominciato a occuparsi della “Contessa” fin dalla tesi di laurea fondata sulle “Società socialiste di mutua assistenza”, le prime cooperative rosse, molto diffuse all’epoca nel territorio. Attraverso ricerche approfondite, ha scoperto che fin dai primi del Novecento la Lomellina, con le sue risaie, i suoi campi, le fattorie, i fittabili e i contadini, era una terra lacerata da insanabili conflitti sociali: miseri braccianti da una parte e padroni dall'altra. Un mondo da “albero degli zoccoli” ma in pieno fermento e scosso da lotte sindacali, talvolta insanguinate dalla reazione dei padroni. Come lo sciopero delle mondine proclamato il 24 maggio a Ferrera Erbognone, finito malamente con il licenziamento delle lavoratrici locali che furono sostitute da forestiere fatte arrivare col treno.
Proprio in Lomellina, nel 1921, alla fine del Biennio rosso (1919-1920), il fascismo trovò la sua linfa vitale perché lì, e precisamente a Mortara, Mussolini volle l’epicentro delle sue squadre d'azione, il cui "ras" era Cesare Forni,
In questo contesto, sorse la ‘stella nera’ della ‘Contessa’ Giulia Mattavelli, donna bellissima e spietata, amante del conte Carminati Brambilla. Divenuta anche “amante di una notte” dello stesso Mussolini.
Fu in quell’attimo che un cavallo bianco apparve all’inizio della via maestra. Lo montava la contessa, discesa prontamente dalla torretta del castello per partecipare in prima persona all’orgia di violenza notturna. L’amazzone fascista aveva raccolto i capelli a cipolla. Indossava un giubbetto e calzoni aderenti da cavallerizza: il nero degli abiti s’incuneava perfettamente in quello della notte. Le redini nella mano sinistra, lo scudiscio in quella destra e il moschetto a tracolla”.
Descrive così, Umberto De Agostino, l’apparizione di Giulia Mattavelli. Siamo agli inizi del 1920 e il movimento fascista sta giusto affermandosi nella terra di Lomellina inzuppata più dal sudore delle mondine e dei braccianti poveri che dall’acqua delle risaie. La trucida figura delle “Contessa”, la cui stella sorge proprio in quel periodo, quando la spietatezza faceva curriculum, è protagonista di questo noir fondato su fatti storicamente acclarati.
La vicenda prende il via dal rinvenimento, la notte del 22 luglio, nel castello di Semiana, dimora del conte Carminati Brambilla, del cadavere di un giovane squadrista. Le indagini toccano al maresciallo dei carabinieri Angelo Pesenti e al suo vice, il brigadiere Carlo Massobrio i quali però si scontrano subito con i depistaggi, le ingiustizie i complotti e le prepotenze dei fascisti. Un clima di veleni e sopraffazioni, nel quale i due carabinieri si muovono con circospezione riuscendo tuttavia, fra minacce e intimidazioni, a scoprire molto più di quanto non vorrebbero  sui personaggi e sui giochi di potere che avvolgono in una fitta tela di ragno la bellissima Giulia Mattavelli, la “contadina rifatta” che riuscì a sedurre e a manipolare molti ras, Mussolini compreso
In questo romanzo, scritto nello stile asciutto ma evocativo tipico dei cronisti  prestati alla narrativa, si incontrano figure storiche fra cui il ras Cesare Forni, il  giornalista Carlo Cordara direttore del settimanale “Il Risveglio”, Paolo Moro, sindacalista originario di Sartirana e dirigente della Federazione Proletaria Lomellina. Un libro da non perdere.

Umberto De Agostino

LA CONTESSA NERA. Lomellina 1921

Frilli editore, 128 pagine, 8,42 euro anziché 9,99 su internetbookshop. Disponibile anche in formato eBook a 5,49 euro.

Incipit: Introduzione.
Un colossale furto planetario, un bottino senza precedenti. Spicciolo più spicciolo meno, stiamo parlando di circa trentamila miliardi di dollari: e se vi riesce difficile capire l’entità di questa somma, forse può aiutarvi sapere che è il doppio dell’intera ricchezza prodotta ogni anno dagli Stati Uniti o dall’Europa, venti volte quella prodotta in Italia. Questa massa di denaro, sottratta alle casse di tutti i paesi, appartiene soprattutto a quattro soggetti: le grandi multinazionali, le banche, gli evasori fiscali e il crimine. Tutti, sia pure con modalità differenti, rappresentano i clienti ideali dei paradisi fiscali: un mondo parallelo le cui dimensioni non sono mai state calcolate adeguatamente, ma che si ritiene contenga oltre un terzo di tutta la ricchezza privata globale.
È il buco nero dell’economia, e dentro c’è di tutto: le tangenti della corruzione, il traffico d’armi e di droga, ma anche le plusvalenze delle aziende globali e, soprattutto, i soldi della grande evasione di ogni nazionalità. Ricchezza esentasse, che produce reddito a sua volta non tassato, moltiplicandosi in modo esponenziale anno dopo anno. E basterebbe già questo a spiegare il successo crescente del sistema definito offshore: letteralmente «in mare aperto», tecnicamente «servizi finanziari a non residenti», in sostanza porti franchi in cui i controlli sono laschi o nulli. Un sistema opaco per definizione, che sfugge a ogni controllo.

Dove sono i soldi? Questo sì che è il vero “mistero d’Italia” (e non solo). La chiave di tutti i segreti. La stazione di transito obbligato per arrivare al nocciolo della politica di questo paese e delle sue scelte in materia di economia, finanza, lavoro. 
Trentamila miliardi di euro sono una cifra stratosferica che neppure si riesce a scrivere correttamente, perché gli zeri sono troppi ed escono dal foglio. Sono il bottino planetario, quello cioè sottratto a tutti i paesi del mondo. Ovviamente le grisbi italiano è molto più modesto benché pur sempre ingente. Per capire di quanti soldi stiamo parlando bisogna sommare i profitti  leciti accumulati in tutti i paesi del mondo, ricchi, poveri, emergenti e sommersi dai debiti,  fatti scomparire illecitamente, a quelli non propriamente  illeciti ma “creativi” e aggiungere i biechi guadagni della criminalità organizzata più tutto il “nero” accumulato dalle società  “matrioska”. Un oceano di soldi, sottratti al con equilibrismi finanziari, con trasferimenti via web ma spesso portati materialmente oltrefrontiera dentro le valigie o, nel caso dell’Italia, stivati nei doppifondi dei bagagliai, dentro pneumatici e perfino cuciti dentro le fodere di cappotti e pellicce.
Anche per questo libro, che chiude la trilogia del denaro comprendente  i saggi Ricchi e poveri e Soldi rubati, Nunzia Penelope si avvale di numeri e dati attinti da fonti e documenti del Fondo Monetario, della Banca Mondiale, dell’Ocse e da varie istituzioni internazionali. Documenti per lo più inediti in Italia, con l’aiuto dei quali ha ricostruito in modo minuzioso e dettagliato la mappa delle vie occulte prese dal denaro,  con tanto di cifre, dati, nomi e cognomi degli evasori, che alimentano l’economia dei paradisi impoverendo quella dei paesi nei quali vivono, operano e accumulano.
Se l’imboscamento delle ricchezze fosse uno sport olimpico, i nostri “atleti” sarebbero così carichi di medaglie da non poter salire sul podio senza l’aiuto di una ruspa. Il libro di Nunzia Penelope dimostra, conti alla mano, che quanto a evasione siamo “eccellenze in fuga”. I dati sono quelli forniti dalla della Banca d’Italia: con lo scudo fiscale del 2010 sono rientrati 100 miliardi, ma in soli quattro anni altri 200 miliardi hanno varcato clandestinamente le frontiere. Una sciagura che apre una visione apocalittica sul nostro futuro se l’emorragia non sarà fermata prima della bancarotta. Eppure …
“Il governo è costantemente in cerca di soldi,” scrive Penelope. “Ma dei paradisi fiscali e delle enormi ricchezze che contengono, di chi le possiede, di come vi arrivano non si parla affatto; ed è perfino inutile sottolineare che l’argomento non entra mai, nemmeno per sbaglio, nel dibattito politico italiano”.
Sarà un caso?

Nunzia Penelope

CACCIA AL TESORO

Ponte alle Grazie, 224 pagine, 11,05 euro anziché 13,00 su internetbookshop. Disponibile anche in formato eBook a 9,99 euro

Incipit: Neuilly 20 marzo 1991
La telefonata con gli Stati Uniti si era prolungata. Il cliente, un collezionista di Philadelphia, era importante, ogni suo desiderio pretendeva la giusta attenzione.
Alla fine Bruno Massard salutò ossequioso e riattaccò pensieroso. La proposta era decisamente interessante.
Per principio cercava sempre di condurre ogni affare in porto da solo. Preferiva non dividere la torta.
Ma stavolta non hai scelta, si disse. Se vuoi accontentarlo alla svelta devi assolutamente coinvolgere …

Cosa non farebbe un mercante d’arte pur di assicurarsi un pezzo raro! L’oggetto del desiderio di Bruno Massard, antiquario fiorentino di non eccessivamente specchiata moralità, è un dipinto talmente raro che neppure dovrebbe esistere. Ignorato dal  mondo intero, il capolavoro riposa al sicuro nel caveau di una villa sulle colline attorno a Firenze, dimora dell’eccentrico conte Augusto Riccoboni che non lo ha mai mostrato a nessuno, mentre  la voce della sua esistenza circola da sempre fra la gente del mestiere suscitando nei più snob la curiosità divertita che si riserva alle leggende metropolitane.  
Si tratterebbe nientedimeno che di un  ritratto giovanile di Don Alfonso de Lera Cardinale di Toledo, commissionato più di quattro secoli fa da sua eccellenza in persona a Diego Rodrigo de Silva y Velasquez. Un quadro segreto.
In questo delizioso painting thriller, genere narrativo nel quale l’autrice, Patrizia Debicke  van der Noot, eccelle, è proprio quest’opera introvabile del grande Velasquez a mettere in moto le forze oscure della cupidigia. L’antiquario francese Massard ha perso il sonno da quando ha saputo della sua esistenza dall’amico Harold Acton, un baronetto inglese la cui villa di campagna confina con quella del vecchio conte Riccoboni. Specialmente dopo che uno dei suoi clienti più ricchi gli ha dato mano libera per qualsiasi acquisto, a qualsiasi prezzo.  
Purtroppo per Massard, il proprietario del quadro, l’anziano conte Augusto Riccoboni, è inavvicinabile e comunque anche se, per assurdo, riuscisse a impadronirsi del Velasquez, non potrebbe mai venderlo perché sull’intera collezione di quadri, oggetti e arredi del casato Riccoboni gravano i vincoli imposti dalla legge a tutela delle opere d’arte.
Ma gli antiquari una volta che hanno puntato qualcosa non mollano. Per aggirare gli ostacoli Massard si impegna in un vero e proprio corteggiamento del conte. Una manovra che alla lunga dà i suoi frutti perché, dopo tutto, il conte Riccoboni è un uomo anziano e malato e la patisserie mignonne che l’antiquario gli offre tutti i giorni con il caffè è irresistibile.
Ma nel passato del dipinto, vecchio di oltre quattro secoli, si cela un segreto. Il conte Augusto Riccoboni fa appena a tempo a metterne a conoscenza il nuovo amico quando  inaspettatamente muore, cosa che dovrebbe mettere la parola fine ai piani dell’antiquario, se non fosse che…
Questo libro che si legge a rotta di collo è un prezioso cammeo. Con una scrittura asciutta ma intrisa di ironia l’autrice riesce a evocare tutta la suggestione della campagna toscana, delle vecchie ville patrizie, della rapacità dei mercanti d’arie e della solitudine di chi, a un certo stadio della vita, si accorge di poter contare solo su una badante bisbetica dai modi grossolani.

Patrizia Debicke van der Noot

IL SEGRETO DI VELASQUEZ

Delos Dital 91 pagine,  1,99 euro.
Disponibile per ora solo in formato eBook

Incipit: Questo libro.
L’Armadio della vergogna è il libro di Franco Giustolisi, recentemente scoparso. Non come un libro può essere del suo autore, ma come soltanto una passione civile, politica e professionale può essere di chi la coltiva da sempre dentro di sé.
Il titolo è nato prima, molto prima del libro, quando Franco seguiva le labili tracce dei fascicoli sulle stragi naziste e fasciste che erano spariti. Trovò l’armadio che li racchiudeva, ne esplorò il contenuto insieme a coraggiosi magistrati, lo chiamò subito “l’armadio della vergogna”. La vergogna per quello che conteneva, la vergogna per essere stato chiuso per mezzo secolo, la vergogna per le urla delle migliaia di vittime che attendono ancora giustizia.
Le pagine sono venute da sole. Verbale dopo verbale, testimonianza dopo testimonianza. Tutto raccolto con scrupolo in voluminose cartelle, sottolineato, annotato, selezionato. Una lunga, verrebbe da dire infinita, sequenza di nomi, di raffiche di mitra, di ordini assassini, di sangue, di morte. “Non c’è niente da aggiungere, è tutto qua”, ha detto quando abbiamo rivisto insieme la stesura definitiva. 
Evelina.Sant’Anna di Stazzema. Dodici agosto 1944.
Alle tre di notte fu sicura che il suo terzo figlio stava per nascere. Il marito era fuori casa da qualche ora per badare alle bestie. Allora Evelina Berretti Pieri pregò una vicina di chiamarle la levatrice. Ma fu più veloce la colonna del capitano Anton Galler. Prima di arruolarsi nelle SS costui faceva il fornaio. Ma cambiò mestiere: fu lui a far da ostetrico. O uno dei suoi uomini. L'ex rabbino di Roma Elio Toaff, sfollato da quelle parti, corse a vedere cos'era successo a Sant'Anna. Sulla piazza della Chiesa c'era un cumulo di cadaveri (poi, solo lì, ne conteranno 132) bruciati. Nella penombra della sera intravvide una donna seduta su una sedia. Era Evelina. L'avevano sventrata. Il feto di quel piccolo essere mai nato, ancora legato alla madre dal cordone ombelicale, era in terra. Come tocco finale gli avevano sparato in testa.
Il marito di Evelina era stato trucidato con i suoi fratelli qualche metro più in là.

Questo incipit è un pugno allo stomaco ma costituisce solo un piccolo assaggio di quello che aspetta il lettore che si avventura incautamente in queste pagine nelle quali, nulla, nemmeno i punti e le virgole, sono invenzione dell’autore.
La storia di Evelina e delle tante vittime come lei, trucidate delle truppe nazifasciste durante le incursioni nei paesi di montagna e nei poveri villaggi sperduti fra campi e boscaglie, è stata ripresa dai documenti contenuti in fascicoli rimasti chiusi per mezzo secolo in un armadio. Nascosti al mondo e a tutti coloro che invocavano giustizia e si chiedevano perché in Italia fossero di colpo cessate le indagini su quegli eccidi e perché i responsabili, molti dei quali, conosciuti dalle forze dell’ordine a dai concittadini, fossero rimasti liberi di dedicarsi indisturbati alle proprie faccende.
Situato in un luogo appartato all’interno della sede della Procura generale militare, in via degli Acquasparta a Roma, l’armadio ha custodito per sessant'anni i fascicoli con i nomi dei responsabili: nazisti e fascisti di Salò, delle centinaia di stragi che hanno colpito il nostro Paese tra il 1943 e il 1945.
Sant'Anna di Stazzema, Marzabotto, Fivizzano, Capistrello, Barletta, Matera… L’elenco dei paesini e dei poveri villaggi è interminabile come è interminabile l’elenco delle vittime. Uomini, donne, vecchi e bambini. Civili in fuga dalla guerra. Malati e disabili. Grazie a quell'armadio gli assassini hanno goduto di sessant'anni di impunità.
E adesso che l’armadio è stato aperto, cosa impedisce di fare giustizia? Franco Giustolisi che si è spento proprio in questi giorni,  dal 1996 conduce la sua battaglia per far luce su questa pagina ignobile della nostra storia ed è stato uno dei più attivi promotori della costituzione della Commissione parlamentare d'inchiesta sulle stragi nazifasciste.

Franco Giustolisi

L’ARMADIO DELLA VERGOGNA

BEAT, 380 pagine, 7,65 euro anziché 9,00 su internetbookshop.

Incipit:Com’è nata l’inchiesta
È il momento di fermarsi e di far sapere, ci siamo detti nell’ottobre del 2010, poco prima di mandare in stampa questo libro. L’inchiesta si era allargata, aveva incrociato dati, scandagliato piste, e si era rivelata più densa del previsto. Era durata tre anni e avrebbe potuto protrarsi ancora a lungo. Eppure l’idea di partenza era semplice: raccontare cosa aveva indagato, e soprattutto tralasciato, la Commissione parlamentare d’inchiesta sul caso Alpi-Hrovatin.
Prologo
Trapani, 26 settembre 1988. Mauro Rostagno viene trovato morto nella sua auto, crivellato di colpi, a poche decine di metri dalla sede della comunità Saman a Lenzi, nei pressi di Trapani. È stato un agguato. Lo aspettavano, la sua auto è stata bloccata mentre percorreva la stradina che porta all’ingresso della comunità per il recupero dei tossicodipendenti che il sociologo e giornalista aveva fondato.
Per ventun anni l’omicidio è rimasto fra i casi irrisolti. Solo nel maggio 2009 i pm di Palermo Antonio Ingroia e Gaetano Paci indicheranno due dei possibili responsabili: l’organizzatore: il  boss Vincenzo Virga, e uno degli esecutori materiali, entrambi uomini del clan trapanese di Cosa nostra. L’ordine di eliminare Rostagno sarebbe partito dal boss di Trapani Francesco Messina Denaro, deceduto nel 1998, padre dell’ultimo grande latitante della mafia, Matteo Messina Denaro.

Premetto che questo libro farà molto arrabbiare.
Chi scrive, benché abituato da tre decenni di professione giornalistica a frugare nell’immondizia di cui è cosparsa la nostra storia dal primo dopoguerra a oggi, accingendosi a mettere sulla carta le impressioni, i giudizi e le sensazioni scaturiti dalle pagine ha dovuto posporre il momento di sedere davanti alla tastiera per lasciar decantare la rabbia che non è mai una buona compagna di lavoro.
Uscito quattro anni fa, 1994 è stato ripubblicato per una ragione precisa e cioè che in questo arco di tempo ci sono stati sviluppi giudiziari ai fatti riferiti nella prima edizione. Sviluppi importanti, che in alcuni casi hanno cambiato la prospettiva degli episodi stessi, facendo apparire nuove piste, aprendo nuovi filoni di indagine, stabilendo perfino collegamenti forse già da tempo sospettati ma non riferibili perché non provati.
Il titolo è fulminante: 1994. L’anno in cui sono saltati tutti gli equilibri. L’anno della svolta. L’anno della nascita di quella “cosa” che per comodità è stata chiamata “Seconda Repubblica” mentre in realtà “Seconda” non è mai stata, essendo il frutto di un progetto preciso, studiato da molto prima che la stagione di Mani pulite ponesse fine allo strapotere dei tre partiti egemoni: DC, PCI e PSI.
Di cosa tratta il libro?
Affronta gli eventi che stanno a monte dell’annus horribilis 1994. Eventi che si sono dipanati in “Sei anni, dal 1988 al 1994.Otto date che rappresentano altrettanti momenti chiave di una storia che non è mai stata raccontata. E che porterà ad altri fatti e ad altre date, sempre più ravvicinate, nel cuore di quei due anni – il 1992 e il 1993 – che preparano la grande svolta”. Così scrivono gli autori nel prologo. Ma quale svolta?
Inutile girarci attorno: la svolta è rappresentata dalla discesa in campo di Silvio Berlusconi e dalla vittoria alle elezioni del suo partito-azienda Forza Italia.
Attenzione alle date! Ilaria Alpi, grande giornalista del TG3, inviata in Somalia per riferire della smobilitazione del contingente italiano impegnato nella missione Ibis, si imbatte in traffici loschi: armi ai ribelli somali in cambio dell’ok per lo smaltimento dei rifiuti tossici e radioattivi sul loro suolo, una flotta di pescherecci italiani utilizzata per trasportare armi e fusti pieni di scorie, miliardi (di lire) scomparsi nel pozzo delle tangenti e delle appropriazioni indebite.
E’ il 20 marzo 1994. Ilaria e il suo cameraman Hrovatin sono in Somalia, appena rientrati a Mogadiscio da un viaggio nel cuore profondo del Paese che li ha portati là dove nessuno aveva osato o piuttosto voluto avventurarsi. Hanno ottenuto le prove di quello che sta accadendo nel Corno d’Africa e montato un servizio pieno di “roba che scotta” così dice Ilaria al suo caporedattore nell’ultima telefonata. Un’ora dopo vengono attirati in una trappola e massacrati. Nove giorni dopo, esattamente il  29 marzo 1994, “Tv, radio e giornali annunciano l’incredibile svolta italiana: Silvio Berlusconi è il nuovo presidente del Consiglio. Forza Italia, un partito nato da soli quattro mesi, ha vinto le elezioni. La coalizione di centrodestra – con Lega Nord e Alleanza nazionale – governerà il Paese”.
Una coincidenza? certo. Però le indagini sul duplice omicidio in Somalia sono peggio che frettolose, mentre gli appunti d’Ilaria e le cassette con le riprese e i servizi già montati vanno a tenere compagnia all’agenda rossa di Paolo Borsellino: scompaiono. Quanto alla commissione parlamentare d’inchiesta,  guidata da Carlo Taormina, berlusconiano di ferro, stabilisce che non c’è stato nessun agguato, che i due giornalisti erano semplicemente nel posto sbagliato al momento sbagliato. Amen.
Partendo dalle indagini sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin - e seguendo il filo dei protagonisti e dei comprimari, nonché delle coincidenze, dei ‘cui prodest’, delle rivelazioni di pentiti e testimoni - gli autori riannodano i fili di una ragnatela di complicità, contiguità, complotti e manipolazioni dell’opinione pubblica. Una rete che lega fra loro fatti spacciati come casi a sé. Ma in realtà collegati. Per esempio: “Che relazione c’è tra l’omicidio di Mauro Rostagno e le bombe della mafia, tra gli accordi firmati a Nairobi e un ufficiale di Gladio, tra ciò che avviene a Roma e le faccende italo-somale che si svolgono nel paese africano? Partiremo da lontano, almeno dal punto di vista geografico”, spiegano gli autori.  “Dalla Somalia, per arrivare a Trapani, Livorno, Milano. E infine a Roma”. Un viaggio agghiacciante che di tappa in tappa ricostruisce “La faccia nascosta della Seconda Repubblica. Non con tutti i pezzi, naturalmente. Il puzzle è incompleto. Ma ce n’è abbastanza per cogliere il disegno finale”.

Luigi Grimaldi e Luciano Scalettari

1994. L'anno che ha cambiato l'Italia. Dal caso Moby Prince agli omicidi di Mauro Rostagno e Ilaria Alpi. Una storia mai raccontata

prefazin

Chiarelettere, 482 pagine,  14,11 euro anziché 16,60 su internetbookshop. Disponibile anche in formato eBook a 11,99 euro