Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

Incipit: “Alcune persone sanno chi sono i mandanti delle stragi e dei delitti politici che hanno segnato la storia del nostro paese. Non possono o non vogliono parlare, ma sanno tutto, questo e certo. C’e chi ha usato questa conoscenza come arma per ottenere potere e chi ha scelto di usarla per garantirsi l’immunità: sempre di ricatto si tratta. Nessuno di loro parlerà, ormai è chiaro. La coscienza collettiva, invece, si interroga da sempre, guardandosi indietro per cercare la verità, molto spesso senza trovarla.
Mentre scriviamo, la Procura di Milano sta decidendo cosa fare di quattro nuovi filoni d’inchiesta sulla strage di piazza Fontana (12 dicembre 1969) non importa qui l’esito di quella decisione ma il fatto che le indagini non si siano mai fermate e la Procura di Firenze ha da poco ordinato l’arresto del pescatore che ha fornito una parte dell’esplosivo per la strage di Capaci (23 maggio 1992): in entrambi i casi, una ricerca lunga, infinita. Un percorso interminabile dal quale e emerso che gli architetti delle stragi hanno goduto sempre di un’estesa impunità e sono rimasti senza volto”.

Dal Dopoguerra a oggi è capitato di tutto nel nostro sventurato Paese. Stragi, tentativi di golpe, omicidi eccellenti, operazioni finanziarie illecite, terrorismo, exploit di organizzazioni criminali arrivate a trattare con lo Stato da pari a pari. Soprattutto stragi. E ogni episodio è sempre apparso come il tentativo di una o dell’altra parte politica, se non addirittura di un gruppo criminale, di dominare, imponendo le proprie regole. Solo da poco i cittadini più attenti stanno cominciando a capire di essere sempre vissuti all’interno di due Stati. O, più esattamente, all’interno di uno Stato a due livelli: uno legale e rispettoso dei principi costituzionali, un altro brutale e prepotente, orientato verso l’imposizione di regole che non hanno nulla a che vedere con quella pacifica convivenza civile, quel rispetto dei diritti di tutti che sono i fondamenti della nostra Costituzione.
Il Doppio livello che si comincia a intravedere è appunto l’argomento trattato in questo libro da Stefania Limiti, già nota per il saggio L’anello della Repubblica (Chiarelettere: vedi recensione apparsa sulla pagina di gennaio-febbraio 2013). Di cosa si tratta esattamente?
Doppio livello è la doppiezza con cui le convinzioni dei cittadini e la volontà popolare sono stati manipolati dai servizi segreti, da pezzi importanti dello Stato e perfino da potenze straniere che hanno sempre guidato, aiutato e protetto con depistaggi gli stragisti rossi e neri, i mafiosi e chiunque avesse interesse a creare disordine, terrore, instabilità in Italia, allo scopo di creare i presupposti per l’instaurazione di un ‘governo forte’ o quantomeno per mantenere lo status quo che giova solo a pochi, nel quale cittadini-sudditi continuano a credere di essere liberi mentre in realtà sono asserviti a precisi interessi. In altre parole: destabilizzare per stabilizzare a determinate condizioni.
Come si agisce a doppio livello? Lo spiega l’autrice analizzando episodi noti e oscuri. Sostanzialmente ci si inserisce negli episodi criminosi per aggravarli,  per accentuarne la potenza, addirittura per dirigerli verso determinati obiettivi, talvolta perfino per ispirarli, infine per depistare le indagini e affossare i processi insieme con ogni tentativo serio di scoprire i colpevoli e risalire ai veri mandanti.
Quello che Stefania Limiti racconta in questo libro non è frutto di fantasia anche se di fatto la trama che si intravede è spaventosa. Giusto per dare un’idea: dietro a ogni strage, a ogni crimine rimasto avvolto nell’oscurità, dietro ai tanti omissis e ai segreti di Stato apposti ai documenti, dietro alle reticenze di chi ha testimoniato alle commissioni parlamentari e nei processi, dietro agli innumerevoli ‘suicidi’ di comodo, alle agende scomparse, dietro ai falsi testimoni e ai falsi anarchici, agli infiltrati nei gruppi politici estremisti e in quelli terroristici ci sono sempre state operazioni di false flag, cioè di  ‘falsa bandiera’: così gli americani definiscono le manovre destabilizzanti progettate e attuate da più soggetti che hanno interesse comune a spostare l’opinione pubblica e la volontà popolare. E’ sempre stato così dalla strage di Portella delle Ginestre in poi, passando per Piazza Fontana, Italicus, Sequestro Moro, Capaci e via D’Amelio eccetera, fatti sui quali si è ancora lontani dall’aver fatto luce.
Cui prodest? A chi è giovato commettere crimini così spaventosi? La risposta che balza agli occhi di chi vuole vedere è agghiacciante: sono stati in molti a trarre vantaggio e ciascuno, per la propria parte, ha avuto via via l’appoggio di  pezzi dello Stato, di servizi segreti italiani e stranieri, di politici di primo piano. Insomma ci sono stati interessi convergenti, tutti lontani dagli interessi dei cittadini. Un esempio è quello del sequestro di Aldo Moro: un politico scomodo, che le ‘vere’ Brigate rosse avrebbero preferito restituire vivo e che comunque avrebbe potuto essere liberato facilmente perché l’appartamento in cui era prigioniero era stato posto sotto sorveglianza da tempo, ma che in troppi volevano morto, a cominciare dalla dirigenza del suo partito, la DC, da uomini del governo Andreotti e Cossiga in testa e tutti i portabandiera della linea della fermezza. E poi gli americani che per tutelare i loro interessi (basi NATO) volevano impedire a ogni costo l’ingresso dei comunisti nel governo e, infine, perfino dal Cremlino, che non vedeva di buon occhio il fatto che il maggior partito comunista d’Europa entrasse in un governo borghese.
Per sintetizzare: il Doppio livello di cui parla in modo esplicito, con nomi, fatti, luoghi, date e coincidenze Stefania Limiti, adombrato anche da altri giornalisti fra cui Paolo Cucchiarelli nel saggio Il segreto di Piazza fontana, Sandro Provvisionato con Ferdinando Imposimato in Doveva morire, è quella linea d’ombra nella quale sono avvenute (e avvengono) cose tremende che sembrano portare la storia in una direzione mentre in realtà la guidano verso quella opposta.

Stefania Limiti

DOPPIO LIVELLO. Come si organizza la destabilizzazione in Italia.

Chiarelettere, pagine 493, 15,81 euro anziché 18,60 su internetbookshop

Incipit:La coca la sta usando chi è seduto accanto a te ora in treno e l’ha presa per svegliarsi stamattina o l’autista al volante dell’autobus che ti porta a casa, perché vuole fare gli straordinari senza sentire i crampi alla cervicale. Fa uso di coca chi ti è più vicino. Se non è tuo padre o tua madre, se non è tuo fratello, allora è tuo figlio. Se non è tuo figlio è il tuo capufficio. O la segretaria che tira solo il sabato per divertirsi”.

La scelta di recensire questo libro di cui l’autore e i vari recensori televisivi hanno già parlato ad abundantia è dovuta semplicemente alla voglia di farne un’analisi e una critica sincera, ripulita dagli applausi dei salotti televisivi.  Come è noto, il titolo che in copertina sovrasta tre strisce di polvere bianca si riferisce al grado di purezza di quello che l’autore presenta come il combustibile del pianeta impazzito: il petrolio bianco cioè la cocaina. Quello che la maggior parte delle persone sa, anche se non ha mai avuto alcun contatto diretto con la droga, è che dietro la pallina di stagnola da mezzo grammo che il ragazzo africano estrae dalle guance e posa sul palmo del cliente in cambio di un pezzo da 50 euro, è che per arrivare fino all’angolo di quella strada, fino al consumatore finale, la polvere si è lasciata dietro una scia di morti sterminata.
Quello che la maggior parte delle persone invece ignora è che gli stratosferici profitti derivati dal traffico di coca hanno stravolto l’ordine finanziario mondiale, qua impoverendo fino alla miseria più nera, là ricoprendo d’oro. A fare soldi a palate non sono soltanto i grandi trafficanti sudamericani sulla pelle dei cocaleros miserabili. E neanche i malavitosi che acquistano le partite. Sono tutti coloro che, consapevolmente o no, incontrano la merce più pregiata del mondo lungo l’immensa filiera che la porta all’angolo delle strade di tutte le città del mondo. A partire dai broker che muovono in borsa i capitali dei cartelli, alle banche compiacenti che li occultano, dai manager che riciclano i soldi delle mafie che ormai hanno eletto la droga a loro business privilegiato, agli imprenditori che fanno affari con i mafiosi. Dai politici che accettano finanziamenti pronta-cassa da personaggi equivoci, fino ai pusher e via via scendendo, fino ai consumatori che abituali o saltuari.
In questo libro, che fa seguito a sette anni di distanza al bestseller mondiale  Gomorra,  Roberto Saviano vorrebbe scavare a fondo nel pianeta Cocaina, ma manca il colpo, non riuscendo ad arrivare al bersaglio della denuncia sociale. Intendiamoci, ZeroZeroZero è un bel libro che in certe pagine tocca punti di poesia. Però è proprio qui il problema: certe pagine, su quattrocento e passa, non valgono lo sforzo di superare la noia delle interminabili guerre messicane e colombiane e di un’iradiddio di eventi remoti, descritti in modo fin troppo suggestivo ma senza alcun riferimento reale che li sostenga. Senza accenni alle fonti. Senza date né numeri. Un fluire ininterrotto di parole, nomi sconosciuti, episodi, il tutto in una mescolanza di fiction e realtà che lascia sconcertati i lettori i quali a un certo punto non capiscono più se si trovano davanti a un romanzo d’inchiesta o a un’inchiesta giornalistica mascherata da romanzo.
E non questo l’unico difetto. Lo stile di Saviano, molto suggestivo nei suoi monologhi a Che tempo che fa, in questo libro risulta a tratti pesante, eccessivo, non convincente, troppo autoreferenziale. Troppo a effetto. Troppo studiato. Troppo prolisso.

Che fine ha fatto la magica asciuttezza di Gomorra? Per favore, ridatecela e restituite Roberto Saviano al suo vero mestiere che è quello di giornalista e scrittore d’inchiesta, prima che si trasformi in un guru, in un profeta a cui è stato comandato di illuminare il mondo con la ‘verità’. Verità che può essere condivisibile, ma che nelle pagine perde credibilità a mano a mano crescono l’enfasi e il bisogno di suggerire al lettore, con le continue chiose, i pensieri, i sentimenti, le sensazioni e i giudizi.

Roberto Saviano

ZEROZEROZERO

Feltrinelli, pagine 446, 15,30 euro anziché 18,00 su internetbookshop

Incipit (dalla prefazione di Antonio Esposito): “Se l’opera precedente di Ferdinando Imposimato Doveva morire (scritta a quattro mani con Sandro Provvisionato e pubblicata da Chiarelettere nel 2008) era, per unanime riconoscimento della critica, [il libro] “migliore del suo genere fra quelli in circolazione e che si avvicina più degli altri alla verità”, il nuovo volume […] fornisce la prova definitiva che le scelte del comitato di crisi, presieduto da Francesco Cossiga, furono il preludio della morte di Moro”.
L’antefatto: “Il tragico destino di Aldo Moro non inizia il 16 marzo 1978, con il sequestro in via Fani, ma quindici anni prima, con l’arrivo in Italia, nel luglio 1963, di John Fitzgerald Kennedy. Il presidente americano era un convinto sostenitore del leader democristiano e della sua politica di dialogo con i social comunisti contro il parere dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri”.

In un periodo come quello che stiamo vivendo, in cui si moltiplicano i saggi di approfondimento della storia recente, tutti preoccupati di chiarire misteri, suggerire ipotesi su episodi oscuri, aprire nuove piste investigative e presentare documenti inediti, questo libro, scritto da un ex magistrato impegnato in prima linea nella lotta al terrorismo e che del caso Moro è stato giudice istruttore, è un documento che va preso molto sul serio perché di novità vere su ciò che accadde nei cinquantacinque giorni di prigionia del presidente democristiano ne presenta parecchie e tutte talmente spaventose che se non ci fossero i documenti ufficiali e i continui rimandi alle fonti si avrebbe la sensazione di navigare in una spy story.
Che molti sapessero dove era tenuto prigioniero Aldo Moro, era un sospetto abbastanza diffuso anche all’epoca dei fatti. Bastava l’immobilismo del “Comitato di crisi” nominato da Cossiga, del quale facevano parte ‘esperti’ non solo italiani, molti dei quali ritrovati più tardi negli elenchi della P2, ad avallare certi dubbi. Infatti, il Comitato, che di fatto, ha espropriato della funzione investigativa la procura di Roma, sottraendo ai giudici informazioni e documenti, è apparso da subito come un istituzione goffa e lenta, che arrivava sempre troppo tardi. Solo pochi inguaribili complottisti hanno pensato però, ieri come oggi, che quello strano organo operativo composto da personaggi discutibili fosse stato istituito proprio allo scopo di intercettare e affondare ogni tentativo di cercare l’ostaggio per liberarlo. Tuttavia fin qui non ci sarebbe nulla di veramente nuovo. Nel dossier intitolato La tela del ragno (vedi la pagina di gennaio delle ‘novità editoriali’ su Misteri d’Italia), pubblicato dieci anni dopo la strage dal senatore Sergio Flamigni, e nel già citato volume Doveva Morire si delinea chiaramente la scarsa volontà di liberare Moro. La vera novità di questo nuovo saggio sta nelle rivelazioni recenti di ex carabinieri, ex poliziotti, ex agenti dei Servizi riguardo alla prigione di Aldo Moro in via Montalcini raccolte personalmente dall’autore.

Non sarebbe giusto svelare tutto. Vale però la pena di aggiungere che questo libro, che si legge come un romanzo e del romanzo ha la fluidità dello stile, i colpi di scena e la suspence, non va confuso con una fiction perché ciò che accadde quel mattino di marzo del 1978 e soprattutto quello che seguì alla strage, hanno cambiato, e certamente non in meglio, la storia del nostro paese.

Ferdinando Imposimato

I 55 GIORNI CHE HANNO CAMBIATO L’ITALIA. Perché Aldo Moro doveva morire. La storia vera.

Newton Compton, pagine 310, 6,72 euro anziché 7,90 su internetbookshop

Incipit: “Se fossi stato chiamato a dichiarare, penso.Ma questo è impossibile. Forse, per questo, scrivo.
Avrei dichiarato, ad esempio, che nella notte tra il sa­bato e la domenica 30 marzo 2010 sono arrivato a casa tra le tre e le tre e mezza del mattino: l’ultimo auto­bus per La Plata parte da Retiro all’una, ma una folla di gente stava tornando da non so quale concerto e abbiamo viaggiato pigiati, la maggior parte di noi in piedi, procedendo a passo d’uomo lungo l’autostrada e la campagna.
Spinta dal mio ritardo, la cagnetta mi si è gettata addosso non appena ho aperto la porta. Tuttavia mi sono attardato ancora per verificare che durante la mia assenza non fosse successo nulla – mia madre dormiva profondamente, con i suoi ottantanove anni, nella casa al piano di sotto, respirando in maniera regolare – e solo allora sono tornato a prendere la cagnetta, le ho messo il guinzaglio e l’ho portata fuori”.

E’ di questi giorni la notizia della scomparsa del generale Jorge Videla, l’Hitler della pampa. Il dittatore argentino, morto a 87 anni lo scorso 17 maggio nel carcere militare di Buenos Aires dove stava scontando l’ergastolo, è entrato nella storia per le uccisioni di massa, per i voli della morte, per i desaparecidos, per i figli dei dissidenti strappati alle madri dopo il parto e dati in adozione ai fedeli del regime.
La notizia della sua fine in carcere ha riaperto un doloroso capitolo della nostra storia, sia perché molte delle vittime erano italiane, sia perché il nostro Paese è stato “amico” del dittatore fino alla sua caduta e l’ha aiutato nella presa del potere attraverso un nostro connazionale di nome Licio Gelli. Questa consapevolezza rende quest’opera, che è una strana commistione di biografia e romanzo, straordinariamente vicina oltre che attuale.
Siamo a La Plata, a pochi chilometri da Buenos Ayres. E’ il 2010. Il protagonista-narratore, Leonardo Diego Bazán, sta portando a spasso il cane a notte fonda quando vede uno strano personaggio con un cappellino da baseball fermo in strada. Intuisce che l’uomo sta facendo da palo a qualcuno e si affretta a rincasare. L’indomani viene a sapere che nella casa dei  vicini è stata fatta una razzia non solo sotto gli occhi della polizia ma con la complicità degli agenti. I derubati mostrano uno strano comportamento. Sono chiaramente terrorizzati, ma invece di denunciare i fatti alla polizia ne parlano sotto voce e quando l’episodio si ripete si trasferiscono altrove.
Il terrore e l’inerzia dei vicini davanti alla violazione della loro casa riporta alla mente di Leonardo Bazán, che altri non è se non l’autore, un episodio a cui aveva assistito da bambino, nel 1976, quando, in quella stessa casa uomini del  regime, che allora stava cominciando a muovere i primi passi, avevano sequestrato una giovane donna accusata di appartenere alla formazione dei ‘Montoneros’. Si chiamava Diana Kupermann. Era sparita una notte nel silenzio e nell’indifferenza dell’intero quartiere che aveva preferito non vedere, non sapere, non porsi domande e non sollevare obiezioni.
Diana è ancora viva. Viene rintracciata da Bazán-Brizuela che finalmente, dal suo resoconto di quei giorni del ’76, prende coscienza di quello che è accaduto al suo Paese, a cominciare dall’orrore a un passo da casa sua. Un orrore che per tanti anni lui stesso aveva preferito ignorare.  
Ci sono cose che nessuno vorrebbe ascoltare, ricordare, approfondire. L’autore-protagonista apprende da Diana, distrutta nel fisico ma non nello spirito, fatti che hanno coinvolto tutti, anche la sua famiglia, perché quando un regime brutale si instaura in un Paese, solo le vittime possono dirsi innocenti. Apprende cose che spiegano i terrori notturni di sua madre. Che spiegano anche la fuga precipitosa e i bisbigli dei vicini.

Mentre a poco a poco, attraverso il racconto di Diana, la sua memoria si apre e frammenti di ricordi si legano fra loro prendendo senso, l’autore li riversa in un libro-diario nel quale alla fine tutto si compone in un mostruoso puzzle dal quale emergono anche le innumerevoli colpe rimaste sotto traccia di coloro che hanno reagito con l’indifferenza, tacendo o, peggio, assicurandosi vantaggi personali con delazioni e calunnie e, infine, dei tanti che hanno rimosso quella pagina nera del passato, a cominciare dai politici, compresi quelli italiani, che col dittatore hanno intrattenuto relazioni e hanno fatto affari.

Leopoldo Brizuela

UNA STESSA NOTTE

Ponte alle Grazie, pagine299, 13,60 euro anziché 16,00 (disponibile anche in formato eBook) su internetbookshop

Incipit:Caro lettore, prova anche tu a vederti cosi. A diciotto anni, ammanettato, le caviglie legate alla sedia, il sudore che gocciola dalla fronte. Non puoi chiedere aiuto, non puoi chiamare i carabinieri a salvarti perché sono loro i carabinieri, i tuoi custodi. Senti i passi avvicinarsi sempre più veloci,  ascolti il suono urlato del tuo nome. Sei di schiena, non riesci a vedere la porta ma capisci che è stata aperta. In un attimo di silenzio ti circondano. Gli occhi ti fanno male per quanto li tieni sbarrati.
Non importa se sei stato tu, se sei colpevole o innocente, se ricordi dove hai passato quella notte maledetta in cui due ragazzi venivano ammazzati senza pietà. Non importa chi sei né come ti chiami, devi solo rispondere alle domande. Non sei nemmeno il prigioniero di qualche esercito, non hai un’ideologia o una bandiera a cui aggrapparti fiero. Sei solo un ragazzo e i volti che vedi sono lo Stato”.

Giuseppe Gulotta, cinquantacinque anni, nel febbraio del 2012, dopo trentasei anni di calvario giudiziario e ventidue di carcere, è stato assolto dall’accusa di aver assassinato due carabinieri. La vicenda narrata in questo libro scritto a quattro mani con il giornalista Nicola Biondo, è dunque vera anche se ha il sapore di un romanzo a metà fra il noir e la spy story.
Tutto è iniziato nel 1976, quando Giuseppe aveva diciotto anni. Una notte, nella piccola caserma di Alcamo Marina, la “Alkamar”, vennero ammazzati brutalmente due carabinieri: l'appuntato Salvatore Falcetta di 35 anni e il carabiniere Carmine Apuzzo di 19. Sono ancora ufficialmente ignote le cause del duplice omicidio anche se un confidente, identificato come persona appartenente ai Servizi, avrebbe parlato di un’operazione di Gladio. Pare che i due carabinieri avessero fermato un camion che trasportava armi destinate a gruppi neofascisti: sarebbero stati ammazzati per impedire l’identificazione degli uomini a bordo. Dunque, una delle tante operazioni illegali e mortali compiute in quegli anni nel nostro paese dai ‘gladiatori’ sotto la copertura dei Servizi segreti.
L’episodio all’epoca aveva fatto scalpore e gli uomini dell’Arma si erano attivati per trovare in fretta un capro espiatorio. Gulotta, tirato in ballo insieme con altri tre giovani di Alcamo Marina da un ragazzo del posto, tale Vesco, torturato e costretto a fare i nomi di possibili complici, venne incriminato e rapidamente condannato mentre il delatore, che aveva tentato di ritrattare, fu trovato impiccato nella sua cella.
Se oggi Gulotta è libero, dopo trentasei anni passati a fare il braccio di ferro con la giustizia, di cui ventidue trascorsi dietro le sbarre, lo si deve alla tardiva confessione di uno dei carabinieri che avevano condotto le indagini e ottenuto le ‘confessioni’ con le torture. L’ex carabiniere, roso dai rimorsi, dopo aver visto la ricostruzione del duplice omicidio fatta dal programma di Raitre, Blu notte, si è finalmente deciso a uscire allo scoperto e ha raccontato tutto ai magistrato.

Giuseppe Gulotta e Nicola Biondo

ALKAMAR. La mia vita in carcere da innocente

Chierelettere, pagine240, 11,90 euro anziché 14,00 (disponibile anche in formato eBook) su internetbookshop

Incipit: “Una vecchia storia. Giovanni Falcone raccontava spesso che il destino di Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo freddato dal mafioso Leoluca Bagarella nel luglio del 1979, si decise il giorno in cui entrò in una filiale della Cassa di Risparmio di Sicilia a chiedere informazioni su trecentomila dollari depositati da un certo signor Giglio. A rispondere alle domande di Giuliano, quel mattino, c’era il direttore dell’agenzia, il dottor Francesco Lo Coco, cugino di primo grado di Stefano Bontate, il principe di Villagrazia, al tempo boss dei boss di Cosa Nostra. I soldi che Giuliano stava seguendo erano stati depositati dallo stesso Lo Coco con il falso nome Giglio. Quei soldi appartenevano a Bontate. Giuliano era un uomo morto.
Raccontando questo episodio, Falcone voleva far capire come il rapporto tra criminalità organizzata e banche era, resta e certamente sarà il passaggio più importante e delicato per due poteri che spesso si sostengono a vicenda per arrivare allo stesso obiettivo: i soldi”.

E’ un classico. In Italia chi entra in campagna elettorale non manca mai di agitare, fra le varie bandiere, quelle della “lotta alla mafia “ e della “moralizzazione del sistema bancario”, trascurando però di spiegare ai cittadini che in realtà si tratta di un’unica bandiera: un vessillo a doppia facciata che nessuno ha davvero interesse a seguire fino in fondo. Infatti, negli anni, nonostante gli scandali e le inchieste della magistratura, si è rafforzato sempre di più il legame fra il potere bancario e le organizzazioni criminali, due entità che hanno il medesimo obiettivo: moltiplicare i soldi. Da una parte c’è l'esigenza dei mafiosi di riciclare, mascherandoli, gli ingenti proventi  delle attività illecite, dall'altra c’è l’obiettivo, perseguito tenacemente dalle banche, di fare profitto in fretta e senza rischi. Risultato: dagli sportelli si negano  finanziamenti alle imprese e mutui alle famiglie mentre si chiudono gli occhi sull'affidabilità di certi clienti e sulla opacità di certi conti.
In questo libro inchiesta sono raccolti alcuni degli episodi più significativi che dimostrano la contiguità e il libero scambio fra i due poteri: quello finanziario e quello criminale. Si tratta di un’inchiesta di straordinaria lucidità nella quale gli  autori Davide Carlucci e Giuseppe Caruso, due coraggiosi giornalisti già autori del saggio ‘A Milano comanda la ‘Ndrangheta’ ,” tornano ad affrontare l’argomento della criminalità organizzata, puntando l’accento sul supporto che il nostro sistema bancario fornisce alle cosche pur restando sempre al di qua di quella incerta linea di confine che separa la legalità dall’illecito. Leggendolo, si avranno molte sorprese.
Il lettore curioso ma non introdotto nei segreti della finanza, scoprirà perché in Italia nessuno schieramento politico, una volta arrivato alla guida del paese, si è mai sognato di mettere mano seriamente alle troppe leggi che consentono questa permeabilità fra sistema bancario e sistema mafioso, muovendo finalmente una vera offensiva contro lo strapotere della criminalità organizzata, contro la corruzione e l’illegalità che si percepiscono dovunque e a tutti i livelli. E non si tratta solo di combattere la mancata trasparenza di certi istituti di credito.
E’ un dato di fatto che in Italia chi mette il naso nei conti delle banche muore. La storia bancaria del nostro paese è costellata di episodi oscuri, vecchi e recenti, che hanno accomunato in un unico, tragico, destino eroi e malviventi: Basti pensare a Sindona e a Giorgio Ambrosoli. Ma ci sono anche casi meno noti, come quello di Rocco Chinnici, giudice istruttore del tribunale di Palermo, assassinato nel luglio 1983, dopo che aveva iniziato a controllare alcuni conti  sospetti.
“Follow the money”, raccomandava Giovanni Falcone: “segui il denaro…” Lui lo ha fatto firmando così la propria condanna a morte.  E lo ha fatto anche Boris Giuliano, il capo della squadra mobile di Palermo, assassinato da Leoluca Bagarella  nel luglio del 1979: lo stesso giorno in cui entrò in una filiale della Cassa di Risparmio di Sicilia a chiedere informazioni su un deposito sospetto. E come loro lo hanno fatto innumerevoli servitori dello Stato, i cui nomi sono stati scolpiti nella lapide che ricorda le vittime di mafia.
Naturalmente, parlando di banche non si può fare di tutta l’erba un fascio. In Italia operano 330.000 dipendenti bancari che nella stragrande maggioranza sono persone per bene, che non si sognerebbero mai di passare informazioni sui clienti a coloro che le chiedono per fini illeciti (usurai, società finanziarie, malavitosi…). E anche la maggior parte dei manager e dei broker che dalle banche dipendono è formata da persone oneste che operano rispettando le leggi e tutelando i risparmi dei clienti. Ma non è certo rassicurante sapere che un potere così grande come quello di muovere i grandi capitali è concentrato nelle mani di pochi individui che possono fare quello che vogliono senza rischi, coperti da leggi fra le più permissive del mondo.

Davide Carlucci e Giuseppe Caruso

BANCHE E MAFIA. Il grande affare

Ponte alle Grazie. pagine205, 11,05 euro anziché 13,00 su internetbookshop

Incipit:Le tasse all’origine della Rivoluzione americana. Nel 1755 i coloni americani, quelli che sarebbero diventati cittadini degli Stati Uniti d’America, dichiararono guerra all’Inghilterra. Si erano scocciati di pagare le tasse. Dissero che un uomo che obbedisce a leggi che lui stesso si è dato è un uomo libero; e che un uomo che obbedisce a leggi dategli da altri è uno schiavo. Siccome le leggi che imponevano ai coloni americani di pagare le tasse erano state fatte dal parlamento inglese, e siccome in quel parlamento i coloni non avevano rappresentanti perché non avevano diritto di eleggerli, succedeva che, quando dovevano pagare una tassa su una balla di tabacco o su un paio di chili di zucchero, si sentivano schiavi; e la cosa non gli piaceva. Così finì come tutti sappiamo”.

Che le tasse inique siano sempre state il casus belli che ha scatenato moti e rivoluzioni nel mondo, lo si studia a scuola e non c’è da stupirsi se oggi, in Italia, si teme che da un momento all’altro possa scorrere sangue visto che più inique di così le nostre imposte non potrebbero essere.
Per rendersene conto basta fare un calcolo veloce: se, come pare che sia accertato, il 93 per cento del totale del gettito tributario proviene da lavoratori dipendenti e pensionati, vuol dire che troppi italiani vivono a sbafo, denunciando meno di quello che guadagnano. Partite IVA, commercianti, professionisti… una pattuglia agguerrita di soggetti a cui la legge consente di detrarre il non ragionevolmente detraibile, di denunciare redditi palesemente in contrasto con il loro tenore di vita. Questo è possibile perché mancano i controlli e anche quando ci sono e i soggetti vengono beccati, le sanzioni sono comunque convenienti rispetto a quanto avrebbero dovuto sborsare se le dichiarazioni fossero state veritiere.
Chi evade? Più o meno tutti tranne i lavoratori dipendenti e i pensionati perché a loro non è consentito. Dall’idraulico che fa lo sconto a coloro che saldano in contanti senza fattura, alla parrucchiera che sulla ricevuta scrive il minimo consentito, giusto per far uscire dal salone le clienti con il foglietto in mano; dal meccanico che accetta solo pagamenti brevi manu, ai titolari di bar, negozi, ristoranti da cui esce solo uno scontrino fiscale su dieci. E che dire dei dentisti, degli avvocati, di chi ristruttura appartamenti, tinteggia, tappezza, installa apparecchiature, tutti con il vizio del doppio preventivo: con e senza IVA, per scaricare sui clienti la responsabilità dell’evasione? Queste persone si comportano così perché lo Stato consente loro di nascondere parte degli incassi sia con i mancati controlli, sia varando iniziative ad hoc come i condoni e gli scudi fiscali, sia emanando leggi specifiche come l’abolizione del falso in bilancio. Quindi sarebbe strano se non ne approfittassero dal momento che da questo sistema tributario può derivare solo un messaggio: rubare si può.

In questo libro, che si avvale di uno stile talmente brillante e fluido da rendere accessibile a tutti un argomento arido come il fisco, l’autore, ex procuratore aggiunto a Torino, giornalista e scrittore, titolare di indagini di rilievo nazionale come Telekom Serbia, spiega, dati alla mano, cos'è che non va nella riscossione delle tasse nel nostro Paese e perché l’apparato fiscale sia così iniquo e non funzioni. O come, in realtà, funzioni benissimo essendo stato progettato non con l'obiettivo di far pagare le imposte a tutti i cittadini nella misura delle loro possibilità, come stabilito dall’articolo 53 della Costituzione, ma per garantire l’impunità agli evasori.

Bruno Tinti

LA RIVOLUZIONE DELLE TASSE. Contro il partito degli evasori.

Chiarelettere, pagine176, 10,20 euro anziché 12,00 su internetbookshop

Incipit:Papa Francesco inizia il suo pontificato in una situazione molto difficile della Chiesa e si trova ad affrontare una si­tuazione per più aspetti senza precedenti, a cominciare dalle dimissioni del suo predecessore che ha certificato quanto già da anni filtrava sullo stato morale della Curia.
L’elezione di un papa è sempre qualcosa che riguarda tutti, compresi i non credenti, perché, al di là di ogni consi­derazione sulla missione spirituale che i credenti le attribu­iscono, la Chiesa cattolica è uno dei principali fenomeni sociali e uno dei primissimi imperi del mondo”.

Il professor Aldo Giannuli è ricercatore di storia contemporanea all’università Statale di Milano. Consulente per le commissioni parlamentari Stragi e Mitrokhin, è noto per essere un grande esperto di trame politiche, episodi oscuri del passato recente e di servizi segreti: tutti argomenti trattati nei suoi libri Dunque, un volume dedicato al nuovo papa, l’argentino Jorge Mario  Bergoglio, salito al trono di san Pietro col nome di Francesco, a prima vista potrebbe sembrare un capriccio estemporaneo, un modo di misurarsi, lui laico, con la religione. Insomma, una stranezza.
In realtà non è così perché l’elezione di un papa dalla personalità dirompente come quella di Bergoglio è un fatto geopolitico dietro al quale potrebbero celarsi quelle oscure correnti che agitano il Vaticano a cui, stando ai rumors, si potrebbe attribuire in qualche misura la scelta di dimettersi del predecessore Ratzinger.
L’elezione di papa Francesco, il pontefice dal volto buono, accattivante, sincero di ex prete di frontiera, così lontano dall’algida riservatezza di Benedetto XVI, al secolo Joseph Aloisius Ratzinger, ha incantato il mondo, riaccendendo con una ventata di entusiasmo le fiammelle da tempo languenti della fede cattolica e della fiducia nella Chiesa e nelle sue istituzioni. Ma chi è veramente l’uomo che ha scelto di chiamarsi come il Poverello di Assisi? Cosa possiamo attenderci dal suo pontificato? Sarà un papa conservatore o progressista riguardo ai grandi temi della morale e della dottrina? Riuscirà a restituire lo IOR  che, non dimentichiamolo, si chiama Istituto per le Opere di Religione, al ruolo e alle funzione per cui è stato creato?
Posto che il “Vescovo di Roma”, come si è autodefinito Francesco, ha doppio, potere essendo capo spirituale di un’immensa comunità di fedeli e monarca di  uno Stato piccolo ma di grande prestigio internazionale, la sua elezione al posto di un papa dimissionario potrebbe preludere non solo al riassetto della spiritualità cattolica con nuove regole morali e di dottrina, ma anche a uno spostamento del baricentro della cristianità, dall’Europa all’America latina, per rispondere meglio alle esigenze della globalizzazione. Quindi non ci si può esimere dal fare la sua conoscenza e dal porsi domande sull’uomo che dopo la sua proclamazione ha salutato il mondo con un cordiale ‘buona sera’.

In questo libro, scritto con lo stile fluido e narrativo che caratterizza i saggi del professor Giannuli, viene presentato un ritratto umano e politico dell’uomo che dovrà misurarsi su un complesso scacchiere spirituale e temporale oggi in pieno fermento e lacerato da forti conflitti.

Aldo Giannuli

PAPA FRANCESCO FRA RELIGIONE E POLITICA. Chi è, quale Chiesa si trova a governare, quali sfide globali dovrà affrontare.

Ponte alle Grazie, pagine139, 7,56 euro anziché 8,90 su internetbookshop

Incipit:Il mostro di Stretta Bagnera. Milano, 18 novembre 1861. Questa storia inizia tanto tempo fa, quando l’Italia non è ancora uno Stato, ma di sangue è già intrisa la sua terra poiché di crimini efferati si sono macchiati gli uomini. A Livorno, nel 1764, l’editore Marco Coltellini stampa un saggio che influenzerà i più grandi pensatori dell’epoca: Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria. Un libello dai contenuti provocatori, diranno alcuni, un caposaldo del pensiero illuminista per la maggioranza. […]
E’ il 18 novembre 1861 quando, nella Milano erede del pensiero illuminista, la forca aspetta impassibile un condannato a morte. L’uomo si chiama Antonio Boggia ma per il popolo è il Mostro di Stretta Bagnera”.

In questo volume sono ricostruiti 101 casi di cronaca nera, dall’Unità ai nostri giorni. Una storia d’Italia color rosso sangue del tutto inedita, che gli autori hanno ricostruito attraverso documenti sepolti negli archivi, vox populi e articoli di giornali. Fra i casi narrati, molti sono noti al grande pubblico, avendo avuto a loro tempo  risonanza nazionale, come il massacro del Circeo compiuto dai tre ‘bravi ragazzi’ della Roma pariolina, come i delitti del mostro di Firenze e quelli della Uno bianca. Ma moltissimi sono del tutto sconosciuti.
Storie di vita e di malavita, tragedie familiari e omicidi senza movente, commessi  per noia, per amore, per avidità. I corpi che vengono ritrovati a galleggiare a pelo d’acqua nel mare, nei fiumi e nei fossi, quelli abbandonati nei boschi, sui cigli dei viottoli di campagna, i molti che si scoprono nelle abitazioni, raccontano una storia poco edificante del nostro Paese.
L’Italia si fa vanto di aver abbracciato il pensiero di Beccaria, scrivendo un codice penale fra i più garantisti e i più avanzati del mondo. Ma non sempre le garanzie vanno a braccetto con la giustizia. Molti pensano che siano troppe le concessioni fatte dalla legge a chi commette reati gravi come l’omicidio e che per questo sia venuta meno la certezza della pena. Il dibattito sul tema della giustizia e della sicurezza per i cittadini è sempre di grande attualità ma diventa prioritario appena i politici entrano in campagna elettorale. Una cosa è certa però: è difficile per i giudici, con le leggi attuali, emettere sentenze che rendano giustizia alle vittime. I condannati, per male che vada, possono contare su sconti di pena, amnistie, perdoni giudiziali, provvedimenti di semilibertà eccetera. E questo di sicuro non scoraggia il crimine. I dati parlano chiaro: sommando i numeri dei morti ammazzati nelle stragi familiari, degli omicidi passionali, dei delitti d’onore e di quelli di genere, dei morti per mafia si ottengono cifre da stato di guerra. E la maggior parte dei crimini rimane impunita.

Un volume interessante, ma anche un utile strumento di lavoro per giornalisti e aspiranti scrittori di noir.

Emanuele Boccianti e Sabrina Ramacci

ITALIA GIALLO E NERA

Newton Compton, pagine719, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop

Incipit: “Milano, piazza San Babila, cantiere della metropolitana, ore 10,47.
“Oh, Africa torna qui!” gracchia la voce roca e ferma del Pecòla.
Se il Pecòla grida a questo modo è meglio fermarsi. E non importa che questa voce se ne esca da un corpo di un metro e sessantacinque centimetri per cinquantanove chilogrammi, da un grissino di uomo da niente, tutto nervi, naso d’aquila e Nazionali senza filtro. Non importa. Perché al Pecòla quando lo si sente parlare si capisce che è un dritto, uno che ha fatto un sacco di cose e che sa come farne un sacco di altre”.

Dulcis in fundo ecco un romanzo che sta scalando le classifiche di vendita con sommo sbalordimento dell’editore e ancora di più degli autori. Operazione Madonnina, opera a sei mani di tre amici al bar, è stato ideato, progettato e scritto al tavolino di un locale di Milano, il Joker Café di via Vittoria Colonna, fra birrette e stuzzichini, dettaglio, questo, non da poco perché i tre autori aderiscono come un guanto ai protagonisti.
E’ il 1973. Gli anni di oro patacca della Milano da bere sono ancora lontani mentre l’eco di quelli del boom si è spento nel boato di Piazza Fontana. C’è la congiuntura e in città imperversano le bande che rapinano, ammazzano e ripuliscono i clienti nei night. Un brutto mattino di novembre esce da San Vittore Ugo Piazza, un malavitoso di rango che sta nel giro dell’Americano ed è così pericoloso che per prima cosa manda un sicario ad ammazzare un furfantello noto come il Pecòla, reo di avergli scremato gli incassi dei tavoli da gioco nel night Medusa.
Proprio il malinconico funerale del Pecòla sarà la desolata occasione che riunisce i tre protagonisti, ciascuno dei quali sta passando un brutto momento. C’è l’Osvaldo, gestore di un bar trattoria con annessa bocciofila: è nelle peste perché il padrone dei muri gli ha aumentato l’affitto proprio quando l’impresa cominciava a rendere. C’è Lorenzo, che sembra ben messo perché lavora in pubblicità e ha azzeccato uno slogan per la Moplen, ma ha il vizio del gioco e non sa come destreggiarsi fra l’amante Beba, a cui ha promesso un provino, e i creditori. Poi l’Angelo, il terùn, un niente di uomo che vende fiori davanti al Cimitero Maggiore e quando sale la nebbia si sente opprimere dalla gelida vicinanza dei defunti. Lui è nei guai perché una notte si è dimenticato di chiudere il chiosco che è rimasto illuminato mentre lì vicino si stava girando un film con Alain Delon ed è capitato che lo stunt-man glielo ha distrutto, scambiandolo per quello, finto, della produzione.
Come si esce da situazioni così disperate? Semplice: basta rubare la Madonnina installata sulla guglia più alta del duomo: a occhio e croce un bel cinquecento chili d’oro.
Un romanzo d’azione e di risate ma con una forte vena di malinconia. Scritto con uno stile che ricorda Zavattini, riesce a dare credibilità e smalto a personaggi surreali come i tre protagonisti ma anche ai comprimari: il cronista Dino Lazzati detto Fernet, che ha eletto un bar di periferia a proprio ufficio e scrive gli articoli di nera sul piano inclinato del flipper. Il commissario Benito Malaspina, detto Mala, pieno di fisime e paure, terrorizzato per la liberazione del Piazza che proprio lui aveva arrestato. L’ex pilota Mike, cieco da un occhio, che deve rubare un elicottero al campo di volo di Bresso per portarsi via la Madonnina sbullonata e imbragata.

Fra trovate esilaranti, allusioni a celebri film d’azione degli anni ‘70 e momenti di vera poesia, il romanzo restituisce lo spirito della Milano che non c’è più, una metropoli da non rimpiangere perché non era più sicura di quella attuale, ma che certamente aveva una personalità e un’anima di cui oggi si è perso il ricordo.

Riccardo Besola, Andrea Ferrarari e Francesco Gallone

OPERAZIONE MADONNINA. Milano 1973

Fratelli Frilli Editori, pagine 219, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop