Adele Marini

La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.

Incipit: Tutti abbiamo simpatizzato, chi più chi meno, con i giovani che sono scesi in piazza dall’inizio del 2011 contro i regimi autoritari e corrotti del mondo arabo. Le rivoluzioni di per sé sono affascinanti, persino romantiche e chi lotta per la libertà e la democrazia suscita sempre la nostra ammirazione. Le insurrezioni però non nascono mai dal nulla, soprattutto in zone con un controllo poliziesco capillare come il Nord Africa e il Medio Oriente.

Che cosa ci fa uno dei gruppi protagonisti della rivoluzione egiziana all’interno di un’associazione voluta dal Dipartimento di Stato americano e sponsorizzato dalle maggiori aziende statunitensi? Che ruolo ha svolto una scuola di Belgrado che tiene corsi su come rovesciare i dittatori? Perché Washington ha addestrato blogger tunisini, egiziani, libici, yemeniti e siriani e fornisce loro software contro la censura? Chi si nasconde dietro gli account di Facebook, Twitter e Youtube che invitano alla ribellione? Come mai gli stessi uomini che hanno combattuto in Libia si ritrovano in Siria? E perché milioni di dollari mandati dalle monarchie del Golfo attraverso organizzazioni caritatevoli sono finiti ai ribelli?

Chi si pone queste domande per fornire risposte più che convincenti è un inviato di guerra di razza, Alfredo Macchi, che lavora nelle testate Mediaset, uno di quei pochi giornalisti che, amando il loro mestiere, non si accontentano di raccontare solo quello che vedono, ma che hanno l’orgoglio e la capacità di andare dietro ai fatti.

Macchi ha viaggiato a lungo in Tunisia, Libia ed Egitto nell’anno di quelle che, forse un po’ troppo frettolosamente, sono state definite “rivoluzioni”. Oggi, a cominciare dall’Egitto, di quelle “rivoluzioni” cominciamo a vedere i primi frutti marci: ad un potere straripante e violento come quello di Mubarak (tanto caro agli Usa e soprattutto ad Israele) se n’è sostituito un altro, altrettanto autoritario come quello di Morsi e dei Fratelli musulmani (garanti della pace di Gaza). Dimostrazione che quelle “rivoluzioni” non erano spontanee, ma teleguidate dai soliti noti a cui stanno a cuore, più della libertà e della democrazia, il consolidamento degli equilibri internazionali, ovviamente sempre funzionali allo statu quo in Medio Oriente a tutto vantaggio dello Stato ebraico.

In questo bellissimo libro, Macchi spiega i meccanismi pilotati delle rivolte del Nord Africa e gli scenari inquietanti che non traspaiono ad occhi superficiali. Un lavoro d’inchiesta davvero prezioso. (S.P.)

Alfredo Macchi

RIVOLUZIONI S.P.A.. Chi c’è dietro la primavera araba

Alpine studio, 301 pagine, 11,90 euro anziché 14 su Internetbookshop

Incipit: La fantascienza ha sempre intuito che l’essenza dei totalitarismi è il controllo tecnologico delle informazioni personali. La realtà le ha dato ragione e così, avanza l’incubo quotidiano. Lo aveva profetizzato George Orwell nel celeberrimo 1984. Stati totalitari e tecnologia deviata avevano ispirato allo scrittore inglese le telecamere a circuito chiuso che, conficcate nei muri come l’ombra oblunga di un occhio, sorveglino costantemente la popolazione, libera, si fa per dire, soltanto di riprodursi senza amare e di divertirsi con i programmi televisivi, sotto lo sguardo onnisciente del Grande Fratello. Lo aveva compreso Orson Welles. Ma il cinico protagonista di Quarto potere fa sorridere se paragonato ai nuovi colossi dei media che hanno incrinato uno dei gangli vitali della democrazia: il pluralismo dell’informazione e la libertà di stampa. La macchina da indottrinamento al servizio di potentissimi, e occulti, poteri finanziari è per Noam Chomsky il vero Grande Fratello della società americana e occidentale. Un sistema di propaganda perfetto che si regge su due pilastri. Il primo sforna fiction, soap, reality show e sport per distrarre gli interessi della gente dai problemi reali. Il secondo indirizza le opinioni di lettori e spettatori, formando convenientemente le nuove classi dirigenti.

Questo libro mette paura. Gli argomenti trattati paiono leggende metropolitane di quelle che vengono fatte circolare per tenere sveglia la gente di notte. Ma non è così. O i fatti esposti corrispondono alla verità, oppure di verità ne contengono abbastanza da togliere la tranquillità. E si tratta sempre di verità che in Italia e nel mondo vengono accuratamente nascoste ma alle quali chiunque potrebbe attingere consultando in internet una mole di documenti, a patto di conoscere bene l’inglese, di sapere cosa cercare e dove andare a frugare.

L’autore di questo poderoso saggio d’indagine, Gianni Lannes, fino a poco tempo fa giornalista del Corriere della sera, autore di importanti inchieste come quelle sulla morte di Ilaria Alpi e sulle alterazioni del clima (forse) prodotte dalle “scie chimiche” (code di condensazione rilasciate da certi apparecchi supersonici che conterrebbero sostanze sconosciute).

In questa sua ultima fatica Lannes tratta argomenti ansiogeni come Echelon la struttura di intercettazioni più potente del mondo realizzata in Italia, che ha permesso di spiare e schedare milioni di persone nel nostro Paese (miliardi, sulla terra) tramite una rete informatica potentissima e talmente riservata dal non essere accessibile al Parlamento.

Dunque, mentre viene fatta rimbalzare come una pallina da ping pong la legge che dovrebbe mettere un freno alle intercettazioni volute dalla magistratura per contrastare il crimine, il RIS (Reparto Informazioni e Sicurezza: niente a che vedere con il Ris del carabinieri!) creatura dell’ammiraglio Fulvio Martini e struttura supersegreta dell’AISE (l’agenzia italiana per la sicurezza esterna: in pratica i servizi di spionaggio) costruirebbe giorno dopo giorno dossier su giudici non malleabili, giornalisti indomabili, ma anche su industriali, politici, ecologisti, ambasciatori, contestatori sociali, preti fuori dal coro come don Gallo. Su tutti coloro che si oppongono alle ‘missioni di pace’ ovvero alla guerra, oppure all’installazione di basi militari straniere. Su chiunque si segnali perché combatte civilmente l’alta velocità o i progetti della NATO. E nel mirino non mancano poliziotti, carabinieri e finanzieri non allineati alle direttive supreme del sistema di potere.

Costruito su pressione degli Usa, Echelon, sorta di grande orecchio informatico satellitare, è stato oggetto di molte interrogazioni parlamentari tutte andate a sbattere contro la porta chiusa del segreto di Stato.

E c’è di più: nel libro di Lannes si parla anche delle pericolose invenzioni di Nikola Tesla, fra cui le apparecchiature in grado di scatenare terremoti e tsunami a grandi distanze. Genio assoluto della fisica, Tesla è il padre delle moderne tecnologie, dalla corrente alternata alle teletrasmissioni di energia su lunghe distanze, fino al controllo della forza geodinamica, intuizioni che nel suo tempo non furono apprezzate come avrebbero meritato essendo in anticipo almeno di un secolo. Oggi i suoi brevetti e quelli ricavati successivamente dai suoi appunti sono sfruttati in tutto il pianeta per scopi pacifici. Ma che ne è stato dei progetti e degli appunti requisiti dopo la sua morte dal dipartimento della difesa degli Stati uniti?

Gianni Lannes

IL GRANDE FRATELLO. Strategie del dominio

Draco edizioni, 341 pagine, 12,75 euro anziché 15 su Internetbookshop

Incipit: C’è una crescente attenzione al ruolo che i servizi di informazione e sicurezza svolgono nella nostra società; in particolare inizia a esserci una maggiore percezione della loro presenza nello scontro economico, finanziario e valutario in atto a partire dal 2008.

Parimenti, c’è una diffusa consapevolezza del ruolo centrale che l’informazione riveste in tutti i suoi aspetti, al punto che la nostra è definita la «società dell’informazione» per eccellenza (anche se, come vedremo, spesso l’espressione è ripetuta «in automatico», senza fermarsi a ricavare le molte implicazioni che comporta).

Perché Julian Assange, il fondatore della rete WikiLeaks, da più di cinque mesi se ne sta rintanato nell’ambasciata a Londra dell’Equador, l’unico Paese al mondo che lo abbia accolto e lo stia proteggendo dalla polizia Londinese che vorrebbe catturarlo per estradarlo in Svezia dove è accusato di stupro? Perché contro questo pacifista esile e mite, oggi gravemente malato, si è scatenata la più imponente caccia all’uomo mai effettuata neppure per catturare i criminali nazisti? Nell’unica risposta possibile a queste domande c’è la chiave per capire in cosa consista buona parte dell’attività dei servizi di intelligence di tutto il mondo: perché Assange, pubblicando oltre 251.000 dispacci diplomatici statunitensi, molti dei quali etichettati come "confidenziali", ha messo a nudo le manipolazioni operate dai Servizi segreti sulle notizie che vengono propinate ai media per essere divulgate.

Non è un mistero che fra le attività dei Servizi di tutto il mondo ci sia quella di manipolare l'informazione con varie tecniche: mettendo in campo agenti provocatoti (infiltrati), facendo circolare documenti falsi, divulgando verità parziali, opportunamente estrapolate dal loro contesto, che formino nelle masse un convincimento opposto o anche solo deviato rispetto alla verità, tacendo quello che ritengono debba essere taciuto, dando esagerato risalto a fatti utili per puntellare le ‘verità’ politicamente opportune. Il convincimento generale che i Servizi di intelligence in passato abbiano lavorato e oggi ancora di più “lavorino” sull’informazione, si basa su documenti ufficiali opportunamente desecretati, su testimonianze tardive riguardanti episodi isolati. Il professor Aldo Giannuli, uno dei massimi esperti in Italia di intelligence, consulente parlamentare nelle commissioni di inchiesta sulle stragi (dal 1994 al 2001) e sul caso Mitrokhin (dal 2003 al 2005) e ricercatore di Storia contemporanea presso la facoltà di Scienze politiche dell'università Statale di Milano, prende questi episodi come punto di partenza per presentare in forma concreta l’attività di manipolazione. Solo se si capisce come può cambiare una verità dopo essere passata al tritarifiuti dell’Intelligence si può avere una chiave di lettura delle notizie che ogni giorno arrivano dai media.

Aldo Giannuli

COME I SERVIZI SEGRETI USANO I MEDIA

Ponte alle Grazie, 272 pagine, 11,48 euro anziché 13,50 su Internetbookshop

Dall’introduzione di Rosario Priore: E’ di questi giorni –siamo nel luglio 2012- l’ennesimo attentato a cittadini israeliani nel territorio di uno Stato europeo che ha sempre protetto, fin dalle persecuzioni della Seconda guerra mondiale, gli ebrei…

Incipit: Per arrestare il conte Edgardo Sogno e Luigi Cavallo, la sera del 5 maggio 1976, il Nucleo antiterrorismo del Piemonte si organizza in grande stile. Non che si temano reazioni violente, però il conte Sogno Rata del Vallino ha in casa un nascondiglio segreto nel quale già una volta si è riparato e che, a due anni di distanza, gli agenti ancora non sono riusciti a individuare.

In Italia niente è mai come appare. I cittadini, almeno quelli refrattari ai ‘pacchetti verità’ preconfezionati e serviti dai media all’ora dei pasti, ne sono così convinti che, a ogni episodio insolito che coinvolga la politica e il governo, automaticamente, cominciano a cercare una contro verità anche quando i fatti sono chiari e non hanno altra spiegazione se quella ufficiale. Un esercizio che si chiama ‘dietrologia’, che scaturisce dall’abitudine a considerare le notizie ufficiali, divulgate dai media, nella migliore delle ipotesi, incomplete e nella peggiore, menzognere. In quasi tutti i cittadini prevale comunque la convinzione che siano più numerose e più importanti le rivelazioni che vengono nascoste sotto valanghe di omissis e sotto autocensure, per fedeltà delle testate ai gruppi politici di riferimento, di quelle che vengono rese pubbliche.

Questo pamphlet, basato su documenti ufficiali estratti da polverosi faldoni sepolti negli archivi più o meno accessibili dello Stato, mette in collegamento fra loro episodi legati dai fili invisibili di trame segrete, tessute da una diplomazia parallela (ma niente affatto deviata), riuscendo a dare forma a una storia nella quale singoli episodi drammatici e oscuri trovano una precisa collocazione e, soprattutto, un perché. Gente fatta sparire come i giornalisti Graziella di Palo e Italo Toni tanto per fare un esempio, stragi mancate e stragi compiute, colpi di stato preparati e fermati all’ultimo momento, morti sospette archiviate frettolosamente come suicidi. E poi: accordi segreti e inconfessabili, giochi di spie, dossier e ricatti, sabotaggi, incidenti pilotati e omicidi mai chiariti… Di questo è zeppo il nostro passato dal ’45 a oggi. E con questo dobbiamo fare i conti.

Un libro che apre gli occhi senza mai cadere nella trappola del complottismo che, comunque, dalle nostre parti è una parola priva di senso perché non c’è fantasia malata che possa superare la realtà dei fatti.

Aggiungo che nonostante la natura complessa e non facile del tema trattato, il libro, che si fonda esclusivamente su fatti e documenti tenendosi lontano dalle facili ipotesi a effetto, grazie allo stile limpido, asciutto e talvolta perfino ironico, risulta una lettura avvincente.

Andrea Colombo

TRAME. Segreti di Stato e diplomazia occulta della nostra storia repubblicana

Prefazione di Rosario Priore

Cairo edizioni, 285 pagine, 13,60 euro anziché 16 su Internetbookshop

Incipit: Questo libro vuole provare, senza arroganza e con grande umiltà, a dare una risposta ad alcuni interrogativi cruciali sulle stragi senza colpevoli che hanno insanguinato il nostro Paese per quasi cinquant’anni. Stragi indiscriminate che hanno scandito la vita dell’Italia repubblicana: Portella della Ginestra (maggio 1947), Piazza Fontana (dicembre 1969), Piazza della Loggia (maggio 1974), Treno Italicus (agosto 1974), via Fani (marzo 1978), Stazione di Bologna (agosto 1980), l’Addaura (giugno 1989), Capaci (maggio 1992), via d’Amelio (luglio 1992). Eccidi sanguinosi, oltretutto inframmezzati da una miriade di delitti intermedi che hanno colpito centinaia di uomini fedeli alle istituzioni: poliziotti, carabinieri, guarde di finanza, agenti di custodia, magistrati. Senza che mandanti, organizzatori ed esecutori siano mai stati condannati.

150 morti. 652 feriti. 11 stragi. In mezzo un numero incalcolabile di morti violente archiviate troppo frettolosamente come suicidi, incidenti o decessi per cause naturali: la storia recente del nostro Paese è attraversata da una scia di sangue che va dalla bomba di piazza Fontana alle stragi siciliane 1992 (Falcone e Borsellino). Terribili eccidi di cittadini sacrificati a oscure ragioni di Stato. Stragi ordite dalle trame oscure dei potenti di turno e rimaste impunite, che hanno non solo avvelenato il clima politico e sociale, ma pesantemente condizionato il corso della storia nel nostro Paese aumentando la sfiducia degli italiani nei confronti delle istituzioni.

Ferdinando Imposimato, avvocato penalista e magistrato, giudice istruttore incaricato di alcuni dei casi più rilevanti fra quelli che hanno insanguinato la prima e la seconda Repubblica, compreso il rapimento di Aldo Moro, la morte di Feltrinelli, l’attentato al papa, oggi presidente onorario aggiunto della corte di Cassazione, ricostruisce in queste pagine con l’aiuto di documenti inediti (verbali, note, sentenze, deposizioni ecc.), rimasti secretati per decenni e mai resi pubblici a dispetto di una legge che lo impone, i fatti di sangue orditi da destra e da sinistra.

“Questo libro”, ha spiegato l’autore stesso ai microfoni di Radio Città Futura, “si occupa delle tante stragi e dei tanti misteri a esse connessi che hanno segnato l'Italia, dal dopoguerra a oggi, rientrando in quel capitolo della storia recente intitolato “Strategia della tensione”, alle cui spalle c’è un’organizzazione che non è stata debellata e che è pronta a ripetere tutto perché ha interagito con la dinamica politica e continua a farlo.”

Il giudice Imposimato a questo proposito ricorda che alla strage di via dei Georgofili, a Firenze, tanto per fare un esempio, è seguito un nuovo corso politico nel Paese.

Questo libro dunque non si limita a elencare i fatti di sangue, ma con l’aiuto di una robusta documentazione ancora inedita perché gli atti sono tuttora secretati e in molti casi “di prima mano” perché l’autore ha condotto personalmente molte delle indagini e ha scritto le sentenze, offre una straordinaria visione panoramica di quanto è accaduto in Italia, perché solo attraverso la conoscenza del passato si può scongiurare il peggio che potrebbe ancora accadere.

Ferdinando Imposimato

LA REPUBBLICA DELLE STRAGI IMPUNITE. I documenti inediti dei fatti di sangue che hanno sconvolto il nostro Paese

Newton Compton, 369 pagine, 8,42 euro anziché 9,90 su Internetbookshop

Incipit: Chi arriva in treno a Napoli, una città bellissima per i monumenti e per la posizione sul mare, non ha la sensazione di essere arrivato nella città del Vesuvio. A un primo sguardo distratto sembra quasi il profilo di una metropoli americana: i grattacieli imponenti e snelli che si intravedono da lontano suggeriscono subito l’idea di una città che si sviluppa in altezza.

Catello Maresca è un magistrato napoletano della Dda di Napoli incaricato di lavorare alla cattura del superlatitante Michele Zagaria, il boss più pericoloso dei Casalesi che, a loro volta, organizzati nella Nuova Famiglia, una confederazione di clan radicati nella zona di Casal di Principe e in tutto il Casertano, sono il gruppo più feroce, più pericoloso, più invasivo della Camorra.

Latitante da sedici anni, Michele Zagaria era uno dei mafiosi più ricercati d’Italia. Grazie a innumerevoli fiancheggiatori, a coperture di ogni genere e all’intrinseca pericolosità del suo clan, ha potuto vivere indisturbato per molti anni nella sua casa a Casapesenna, a pochi chilometri da Casal di Principe, dove poi è stato catturato. Dal suo fortino, sorvegliato da innumerevoli sentinelle oltre che da occhi elettronici puntati in ogni direzione, ha diretto i propri affari, comandato omicidi, amministrato la giustizia a modo proprio, secondo i ‘sacri’ principi dell’omertà e della malavitanza. Ha taglieggiato imprenditori e commercianti, si è infiltrato negli appalti pubblici e privati, ha tenuto in scacco lo Stato.

Tutti, da Napoli a Caserta e oltre, sapevano dove stava ‘Zi’ Michele’, ma nessuno lo trovava perché al momento delle irruzioni e delle perquisizioni lui, in casa, non c’era mai. Letteralmente scompariva con un pezzo della sua abitazione, un’ala trasformata in un bunker mobile che attraverso un complicato congegno veniva fatto scendere sotto terra e poi fatto scivolare dentro un tunnel interrato. Una volta avuta la conferma che il boss dalla sua casa non si era mai mosso grazie intercettazioni e alle soffiate dei confidenti e dei pochi pentiti, è stato possibile stanarlo facendo entrare in scena squadre di militari e di operai armati di ruspe, martelli pneumatici e perfino di una trivella.

Questo libro, scritto con l’aiuto del giornalista Francesco Neri dal coraggioso magistrato requirente a cui va il merito di aver assicurato alla giustizia il super latitante, non racconta solo le fasi, pure avvincenti, della cattura, ma apre uno spiraglio sul mistero che avvolge gli inafferrabili Casalesi la cui aggressività è tanto più pericolosa in quanto alcuni esponenti di spicco sarebbero l’anello di congiunzione che lega la camorra alle famiglie siciliane affiliate a Cosa nostra. Unico neo del testo, molto documentato e ben articolato: lo stile freddo e un po’ frettoloso, decisamente molto cronachistico ma poco attraente per il grande pubblico.

Catello Maresca con Francesco Neri

L’ULTIMO BUNKER. La vera storia della cattura di Michele Zagaria, il più potente e più feroce boss dei Casalesi

Garzanti, 173 pagine, 11,90 euro anziché 14 su Internetbookshop

Incipit: Ricchezza privata in Italia: 8640 miliardi.

Debito pubblico in Italia: 1972 miliardi.

Famiglie ricche: 2,5 milioni.

Famiglie molto ricche: 240.000.

Famiglie povere: 3,2 milioni.

Famiglie molto povere: 1,4 milioni.

Se la ricchezza italiana fosse una montagna, sarebbe alta quanto il K2, mentre il debito pubblico, al confronto, risulterebbe come il monte Pisanino nelle Alpi Apuane: 8611 metri contro poco meno di 2000.

Eccolo qui il segreto del nostro inesorabile sprofondare nella povertà! In questo nuovo saggio di Nunzia Penelope sulla diseguaglianza c’è la fotografia della condizione, sociale prima che finanziaria, nel nostro paese e si tratta di una fotografia che va presa sul serio perché è perfetta come perfetta può essere solo la scienza matematica. Infatti, è fatta con i numeri!

Le cifre estratte dall’autrice, che ha incrociato i dati ottenuti da tutte le fonti ufficiali ritenute assolutamente inattendibili, fra cui la Banca d’Italia e l’Istat, dicono che “l'Italia è un paese ricco abitato da poveri” Una battuta fulminante per spiegare che nel nostro Paese “la ricchezza privata è quattro volte e mezzo il debito pubblico, ovvero ammonta a quasi novemila miliardi mentre il debito è di duemila soltanto.” Il che, riportato in termini geografici, ha lo stesso rapporto che corre “tra il K2 e il Monte Pisanino delle Alpi Apuane”. E fin qui non ci sarebbe niente di male se non fosse che questa montagna di denaro sta in poche, rapaci, mani private, mentre il debito pubblico è spalmato su tutti i cittadini per un ammontare che ha superato i trenta mila euro a testa (pagabili in comode rate emesse da Equitalia).

In soldoni (letteralmente): i dieci italiani più ricchi possiedono quanto i tre milioni dei più poveri, i primi venti manager guadagnano quanto quattromila operai, mentre gli stipendi medi sono a un soffio dalla soglia di povertà e chi li ha deve comunque considerarsi fortunato. E’ questa l’Italia del tutto e del niente: Da una parte chi non può neanche più fare la spesa, come gli esodati, i disoccupati, i pensionati al minimo, dall’altra chi, come gli spipendiati d’oro, discetta sulla difficoltà di mantenere i sussidi ai cassintegrati e decide che si devono tagliare i fondi ai malati di Sla e a tutte le associazioni benefiche impegnate nel volontariato, come la Caritas e la Comunità di sant’Egidio, “Perché sono spese che non ci possiamo permettere”.

La fotografia che si delinea, a mano a mano si procede nella lettura, resa scorrevole dallo stile agile, asciutto e molto fluido, tratteggia un Paese in cui la disuguaglianza ha raggiunto livelli intollerabili: c’è chi colleziona auto di lusso, natanti e appartamenti e chi vive in macchina avendo perso la casa per colpa di rate del mutuo non pagate; chi possiede il jet privato e chi ha dovuto vendere il catorcio di famiglia perché non può permettersi di pagare bollo, assicurazione e benzina; chi spende migliaia di euro per una “cenetta” e chi non ha soldi per pagare la mensa scolastica ai figli. Quanto tempo si potrà andare avanti così, prima che i superpoveri si sveglino davvero? Secoli di storia non hanno insegnato niente?

Altro che generazione “choosy”!

Un’inchiesta di Nunzia Penelope

RICCHI E POVERI

Ponte alle Grazie, 265 pagine, 11,48 euro anziché 13,50 su Internetbookshop

Incipit: Sono scappato dal paese che amo e che odio, quell'Italia fascista fatta di vecchi testardi convinti che la paura di cambiare le cose sia una virtù. Milano, poi, è una città dove il sangue puzza di cemento; grigio abbandono e ortodossia asociale per un palcoscenico di serie B. Non è una metropoli ma una pallida imitazione. Ho visto gran parte dell'Europa e so di cosa parlo.

Questo romanzo, uno dei migliori prodotti negli ultimi anni dalla nuova generazione di scrittori italiani, è un tuffo nella nostalgia per una breve stagione passata come una meteora sotto il cielo milanese fra gli anni Ottanta e Novanta. Chi è stato adolescente in quel periodo se la ricorderà certamente: la stagione del punk rock, così veloce che i più non l’hanno nemmeno percepita, mentre i pochi che lo hanno fatto senza esserne stati protagonisti, continuano ad associarla all’immaginario delle mode cretine della Milano da bere, all’evaporazione del pensiero, al rampantismo bottegaio, alla tivù spazzatura, alle siringhe nei giardinetti... a tutto, tranne che a quello che fu realmente: musica, arte, sperimentazione, genialità, rabbia, impegno ed etica pura, come può esserlo quella straight edge (no alcol, no droga, no alimenti di origine animale, no fumo, no sesso occasionale…) che sembra modellarsi più sui monaci buddhisti che sui ragazzi crestati.

Tutto ha inizio quando Smalley, in fuga da un episodio oscuro che lo ha inseguito per tutta l’Europa, scopre per caso, ad Amsterdam, che dalla sua Milano, abbandonata frettolosamente dieci anni prima, è stato cancellato, insieme con le scritte sui muri, anche il mitico ‘Laboratorio anarchico’ di via De Amicis, il centro sociale, che per lui e per gli altri componenti della sua band ‘Krakatoa’: Max, Lupo e Drew, era stato casa, officina, scuola e vita.

Sconvolto, decide di tornare da clandestino. Dovrebbe essere una breve visita, giusto il tempo di mettere a posto alcuni tasselli del passato, invece si trasforma in un’indagine. Che fine ha fatto Max? Perché nessuno vuole parlare di lui?

Una precisazione: il ‘Laboratorio anarchico’ è esistito davvero proprio là dove l’autore lo ha collocato nel romanzo. Considerato culla del punk rock milanese e centro di controcultura underground, era uno scantinato nella centralissima via De Amicis più volte fatto sgomberare dalla forza pubblica e rioccupato. Vi si faceva soprattutto musica. Buona musica punk rock e pessima musica frutto di improvvisazione estemporanea. Musica veloce, arrabbiata, spesso rubata ai gruppi stranieri. Quasi sempre musica segnata dalla tripla X di hardcore, cioè estremizzata ai limiti del sopportabile. L’autore, Matteo di Giulio, ottimo bassista, quello scantinato negli anni novanta lo ha realmente riempito di note con la sua band ‘Mururoa’. Quasi tutto quello che entra nella narrazione, compreso l’epilogo, non è finzione letteraria, ma compone una pagina vera della Milano più marginale ma non per questo meno importante. Anzi, certamente una delle pagine più belle e più sincere degli aridi e culturalmente miserevoli anni Novanta.

Matteo Di Giulio

QUELLO CHE NON BRUCIA RITORNA. Romanzo hardcore

Agenzia X, 268 pagine, 12,75 euro anziché 15 su Internetbookshop (edizione tascabile 8,50 euro anziché 10)

 

Incipit (Dall’introduzione di Loriano Macchiavelli): Verso l’alba di un giorno sfortunato, mi hanno svegliato tre rumori orribili, inconsueti per la mia casa al termine di Montombraro, Appennino modenese. Il ronfare dei motori delle superfortezze volanti che, durante la guerra, venivano a bombardarci. Ma come? L’allarme non è suonato. Dopo, il secondo fragore, ha rafforzato l’idea del bombardamento: la stanza ha ballato e i mobili si sono mossi.

“Quando ho visto la mia terra così martoriata mi sono chiesto: cosa possiamo fare noi scrittori della Bassa, nati e cresciuti qui, per aiutare la nostra gente? La risposta è venuta da sola, raccontare al nostro meglio la tragedia che ci ha colpiti e devolverne i proventi ai terremotati.”

Niente, meglio di questa breve epigrafe firmata da Paolo Roversi, ideatore e curatore di questa antologia pubblicata a scopo benefico, può sintetizzare le ragioni che hanno spinto quattordici scrittori, anzi, quindici se si conta il prefattore Macchiavelli, a scrivere racconti che hanno per tema la terra che all’improvviso si solleva come un mostro addormentato, scuotendosi di dosso chiese e palazzi, case e monumenti come fossero pulci fastidiose.

Un libro da leggere e da gustare perché gli autori, tutti residenti nei centri terremotati dell’Emilia, appartengono al fior fiore della narrativa contemporanea. Un libro da conservare come una reliquia perché ciascun racconto è come la tessera di un mosaico tragico. Un frammento della storia di questo Paese devastato dalla rapacità di pochi, nel quale tutto, a cominciare dalla natura, si ribella.

Gli autori di Scosse hanno destinato i loro compensi alla ricostruzione della Biblioteca di San Felice sul Panaro. Perché è solo salvando i libri, che sono pensiero e cultura, che può ripartire la storia in un Paese libero.

A cura di Paolo Roversi

SCOSSE: scrittori per il terremoto

Introduzione di Loriano Macchiavelli

Felici editore, 157 pagine, 10,20 euro anziché 12 su Internetbookshop

Incipit: Penso che il momento più bello di tutta la mia giornata sia la sera, intorno alle sette, quando esco dall’ufficio, mi dirigo verso i garage, mi avvicino alla macchina e premo sulla pancia della chiave il pulsante di apertura.

Un classico non fiction novel in cui la vicenda personale dei protagonisti si intreccia e si fonde con fatti realmente accaduti così profondamente da diventare il pretesto per scoperchiare uno dei tanti verminai consegnati alla storia recente.

La storia d’amore di Alessandro e Gaia, per quanto coinvolgente, non è nulla di fronte al tema centrale del romanzo: la questione irrisolta dell’odio che ha diviso le popolazioni dell’Istria, italiane e slave, dall’otto settembre del 43 in poi (prima c’erano i nazisti e i fascisti a mantenere l’ordine con impiccagioni, seppellimenti, infoibamenti e devastazioni).

La storia si dipana fra una piatta Milano, una gelida Trieste e l’Istria delle foibe in cui regna la calma apparente di una terra rimasta misteriosa e indecifrabile. Nella narrazione di Massimiliano Comparin, che si avvale di uno stile molto accattivante, ci sono parecchie parzialità a favore degli italiani “martirizzati” dai Titini, costretti a lasciare case e proprietà ai vincitori dopo il ’45. Per non parlare degli infoibati dal ’43 in poi (che ci furono da entrambe le parti al momento di saldare i conti). E un errore dell’autore sta proprio qui: nel mescolare troppo la storia alla fiction per saltare a conclusioni affrettate e volute, sorvolando, per esempio, sul fatto che gli ustascia di Ante Pavelic, responsabili delle peggiori atrocità verso le popolazioni slave, erano guidati e protetti dai nazisti e dai fascisti di casa nostra.

Resta tuttavia innegabile il grande merito dell’autore di aver affrontato, con una capacità narrativa straordinaria soprattutto per un esordiente, un argomento che sanguina ancora sia da parte italiana sia da parte slava e quindi non può essere trattato con quel distacco che è il presupposto per poter consegnare i fatti alla storia. Leggendo questo romanzo viene voglia di approfondirne i punti salienti cercando conferme o smentite e, quindi, di rinfrescare la memoria. E questo, in un Paese di immemori come il nostro, è un valore aggiunto che pochi fra i nuovi autori sanno dare alle proprie opere.

Massimiliano Comparin

I CENTO VELI

Dalai editore, 271 pagine, 8,42 euro anziché 9,90 su Internetbookshop

Incipit: Liguria di Ponente, 31 dicembre, ore 23.50. Alta pressione. Cielo sereno 4°C.

L’autostrada è quasi deserta. Anche sulla statale Aurelia poche auto.

I centri costieri sono macchie di luce, vie affollate, musica e rumori.

Nell’entroterra buio i paesi appaiono come piccole isole chiare. Primi petardi.

E’ Natale, siamo più buoni e questo è il nostro regalo: la recensione di un bellissimo romanzo. Abbiamo scelto questo libro, fra le tante novità che riempiono gli scaffali delle librerie sotto le feste, perché si fonda sui tre pilastri che distinguono i romanzi di qualità dalla paccottiglia. Anzitutto un argomento forte che, in questo caso, è il rapporto di reciproca diffidenza fra gli immigrati africani e i liguri dell’entroterra, da sempre ostili ai “foresti”, non per razzismo ma per l’atavica diffidenza nei confronti di chi arriva da fuori, non importa se da nord o da sud. Poi una trama piena e credibile dalla prima pagina all’ultima, che non cade e non annoia. Infine lo stile fluido e gustoso che fa sentire in ogni pagina il profumo di basilico e di rosmarino mescolati all’odore di salsedine.

La storia inizia la notte di Capodanno a Toirano, uno dei tanti paesini dell’entroterra ligure nei quali anche a Capodanno si va a letto presto, magari maledicendo i botti di chi vuole fare festa. Fra i tanti colpi che frantumano il sonno ce ne sono due che non sono botti ma fucilate che lasciano a terra due algerini. Un medico e un ragazzo.

Mentre sta per lasciare la scena del crimine dopo aver esaminato i cadaveri, Ardelia Spinola, medico legale, trova, accanto al suo pickup, una chiavetta USB per l’archiviazione dei dati.

Sarebbe suo preciso dovere consegnare il reperto ai carabinieri impegnati nelle indagini, ma lei, spirito libero e ribelle, la intasca d’impulso. Il contenuto della chiavetta è in arabo. Ardelia lo fa tradurre dall’amico Steiner, anziano cacciatore di criminali nazisti che le consegna una pagina alla volta. Sembrerebbero capitoli di un libro autobiografico ma potrebbero anche essere testi in codice destinati ai terroristi . Tuttavia la scrittura è affascinante e spalanca davanti ad Ardelia una finestra sulla vita, i pensieri, i desideri e le aspirazioni letterarie di uno dei due uccisi. Ebbene sì, molti degli immigrati che non tolleriamo sono figli di antiche civiltà. Sono più colti, più generosi, più educati di noi. E infinitamente più rispettosi delle nostre abitudini e delle nostre tradizioni di quanto non siamo noi delle loro.


Cristina Rava

UN MARE DI SILENZIO. Un’indagine di Ardelia Spinola

Garzanti, 297 pagine, 14,11 euro anziché 16,60 su Internetbookshop