La rubrica "Novità editoriali" di Misteri d'Italia è tenuta da Adele Marini, giornalista professionista, specializzata in cronaca nera e giudiziaria, autrice di diversi libri tra cui il noir 'non fiction' Milano, solo andata (Frilli editori, 2005), pubblicato anche in Germania, con cui ha vinto nel 2006 il Premio Azzeccagarbugli per il romanzo poliziesco. Nel 2007, sempre con Frilli, ha pubblicato Naviglio blues, anch'esso tradotto in tedesco. Attualmente è in libreria con l'eBook Arriva la Scientifica (editrice Milanonera), secondo volume della collana Scrivi noir: i fondamentali della scrittura d'indagine dedicata alle procedure investigative e giudiziarie.
Incipit: Preambolo. A piedi giunti nel fango.
Sulla vita, sui trionfi e sulle nefandezze più o meno documentate dei Borgia si sono scritte e messe in scena opere e pièces teatrali, realizzati film di notevole fattura con attori di fama e, ultimamente, anche due serie televisive di straordinario successo.
Qual e il motivo di tanto interesse verso il comportamento di questi personaggi? Senz’altro la spudorata mancanza di pulizia morale che viene attribuita loro in ogni momento della vicenda. Un’esistenza sfrenata a partire dalla sessualità fino al comportamento sociale e politico.
Prima parte.La tombola benedetta
L’11 agosto 1492 i cannoni di Castel Sant’Angelo spararono per ricordare a Roma e al mondo intero che il nuovo pontefice era stato eletto col nome di Alessandro VI. Finalmente la Spagna godeva del suo secondo papa, Rodrigo Borgia.
A Roma una pasquinata scritta dal solito ignoto esclamava: «Il soglio pontificio è annato a chi ha pavato de più a quelli che gestischeno l’urna de la santa lotteria».
I romani conoscevano per nome e casato ogni cardinale della tombola: Ascanio Sforza, fratello di Lodovico il Moro, che aveva ricevuto addirittura una città in premio per il suo appoggio, quella di Nepi, oltre a quattro muli carichi d’oro, Giuliano della Rovere, che riceve l’assicurazione di montare alla cima della piramide al prossimo giro e cosi via altri doni e prebende a tutti gli altri votanti.
Lucrezia Borgia, affascinate avvelenatrice di mariti, figlia incestuosa di un papa e sorella, altrettanto incestuosa di un assassino. Su questo personaggio si è fatto gossip storico per cinque secoli e tuttavia film, romanzi, dipinti, saggi e perfino due recenti sceneggiati televisivi non sono bastati a esplorarlo in tutta la sua umanità. Ci voleva Dario Fo per catturare la luce della giovane Lucrezia, un vero brillante al femminile, e a dare senso a molte sua azioni, soprattutto al suo vagare dietro i fondali della storia per trovare una propria identità che fosse disgiunta a quella dei suo feroci e straripanti familiari.
Per riscrivere e ridipingere (con pennelli e colori) la vicenda umana e politica di Lucrezia, Dario ha riempito il proprio atelier milanese di tomi, scovando perfino testi contemporanei a Lucrezia, opere di cronisti dell’epoca. Da questa mole di materiale è emersa la figura di una donna straordinaria, niente affatto passiva come la vorrebbero i reporter per nulla imparziali del tempo. Una donna complessa e non priva di ombre, certamente sacrificata alla ragion di Stato, e spesso incapace di dominare le proprie pulsioni erotiche, ma decisa ad alzare la testa e a imporre la propria volontà oltre quello che le era consentito dal padre, uno dei pontefici più corrotti della storia ma anche uno dei più illuminati, e dal fratello aguzzino.
Nessuno, in cinquecento anni, ha mai raccontato la vicenda umana di Lucrezia Borgia a tutto tondo, così come ha saputo fare Dario Fo in questo libro che lui stesso ha anche illustrato con magnifici ritratti e scene di vita cinquecentesca, assimilando talmente il ‘romanzo’ a una pièce teatrale da dare la sensazione che i personaggi si stacchino dalle pagine e prendano vita recitandosi da sé.
Di fatto La figlia del papa è un magnifico esempio di “scrittura teatrata” Un libro da leggere, da guardare e da conservare. E perfino da consultare di tanto in tanto, perché la figura di Lucrezia e gli eccessi cinquecenteschi narrati con fluida eleganza continuano a riguardarci. Di fatto, sono la rappresentazione sul palco della storia di un passato che non passa e non passerà mai.
Dario Fo
LA FIGLIA DEL PAPA
Chiarelettere, 190 pagine, 11,82 euro anziché 13,90 su internetbookshop.
Incipit: Introduzione. Il segreto delle diecimila pagine. Nel 1520 un gentiluomo abbandonò il castello del re di Francia ad Amboise. Attraversò la Loira. Cavalcò per un tratto con il suo seguito lungo il corso del fiume e svanì poi nelle foreste più a sud. Portava con sé una cassa. Questo bagaglio, non particolarmente voluminoso, era però così pesante che occorrevano due uomini per spostarlo. Tuttavia, durante tutto il viaggio attraverso l’Italia, che si sarebbe protratto per una settimana, Francesco Melzi non perse mai d’occhio la cassa, neppure per un solo istante. Arrivata finalmente a Milano, la comitiva si avviò verso est, raggiungendo dopo un altro giorno di viaggio un’altura che dominava la località di Vaprio d’Adda, ai piedi delle Alpi, dove il gruppo si fermò davanti a un’imponente villa. Era la proprietà della famiglia di Melzi. La cassa fu portata al piano nobile, dove Melzi avrebbe custodito il suo tesoro nei successivi cinquant’anni.
Se mai un giorno si riuscirà a esplorare completamente il cervello umano e ad attivare tutte le sue potenzialità delle quali stando ai neuropsichiatri, utilizziamo solo una piccola parte, allora capiremo perché ogni tot anni (o tot decessi) nascano individui decisamente avanti rispetto ai loro tempi. Personeche spesso faticano ad adattarsi al proprio ambiente, alla società del loro tempo, perché il loro pensiero e la loro creatività sono proiettati nel futuro. Leonardo da Vinci è uno di questi: il massimo genio di tutti i tempi, praticamente un alieno.
Questo libro, che al rigore scientifico unisce lo stile divulgativo accattivante, addirittura avvincente dei migliori romanzi, guarda oltre il genio. Semplicemente entra nel suo privato, svelando particolari sconosciuti che stanno a monte delle opere dell’ingegnere, dell’architetto, del pittore, dell’inventore, del medico, del matematico, dell’astronomo, dell’informatico in nuce. Sì, anche dell’informatico perché è stato proprio Leonardo a immaginare il sistema matematico binario su cui si fondano i computer. Così come ha inventato la prima valvola cardiaca meccanica e ha rivoluzionato, lui pacifista e vegetariano, l’ingegneria bellica e quella aeronautica.
Un’eredità pesante, della quale non siamo del tutto consapevoli. Ammiriamo il suo più celebre dipinto esposto al Louvre: La Gioconda, ci domandiamo chi gli abbia fatto da modella, azzardiamo ipotesi fantasiose sul significato del celebre sorriso, ma ci siamo mai chiesti come sia stato possibile imprimere tanto magnetismo a quelle labbra leggermente sollevate? In realtà La Gioconda, come tutti i dipinti leonardeschi, si avvale di studi anatomici davvero rivoluzionari per l’epoca in cui il genio è vissuto e dietro al sorriso ci sono i muscoli che, sotto la pelle, compongono la delicata struttura dell’espressione: un prodigio che si deve agli studi di anatomia del ‘Genio’.
Avvalendosi di uno studio approfondito degli appunti di Leonardo, di testimonianze di personaggi della sua epoca, di scritti documenti rari, il saggista bavarese Stefan Klein entra nella mente dell’uomo Leonardo da Vinci esplorando, attraverso l’analisi comparata dei testi, degli schizzi e dei progetti la sua multiforme personalità, la sua intelligenza analitica e in una certa misura, anche il suo carattere. Un libro davvero speciale che esplora una parte molto importante del nostro passato. Da non perdere.
Stefan Klein
L’EREDITA’ DI LEONARDO. Il genio che reinventò il mondo
Bollati Boringhieri, 288 pagine, 18,70 euro anziché 22,00 su internetbookshop.
Incipit: Un uomo solo
Silvio Berlusconi ha vissuto molte vite. E stato quattro volte presidente del Consiglio, fondatore di Mediaset e di Fininvest, creatore di Milano 2, presidente del Milan, padrone de ‘il Giornale’, amico personale di Bettino Craxi e di Vladimir Putin, di George W. Bush e di Mike Bongiorno. Ha acquistato supermercati e compagnie assicurative, case editrici e squadre di calcio. Nel 1994 un sondaggio eseguito tra i bambini delle scuole ne certificò la popolarità: risultò più celebre di Gesù Cristo. Eppure di una cosa sono certo: Silvio Berlusconi è innanzitutto un uomo solo. Circondato da supporter e adulatori, cantori e lacchè. In perpetua compagnia, ma al contempo terribilmente solo. E’ questo il suo dramma: come puoi credere nell’amicizia di qualcuno, quando hai il sospetto che sia interessato soltanto al tuo potere? Non a caso, gli unici veri amici di Silvio sono Fedele Confalonieri e Marcello Dell’Utri, coloro che lo hanno
incontrato quando ancora non aveva nulla, scegliendolo unicamente per quello che era. Solo grazie alla politica Silvio ha ottenuto ciò che sognava: l’affetto gratuito di milioni di persone, uno sterminato esercito di uomini e donne che lo adorano fedelmente da due decenni in cambio di illusioni. In realtà, in cambio
di nulla ma nonostante ciò continuano a idolatrarlo. La politica lo fa sentire amato, vivo: è la sua condanna, ma è anche la nostra.
Vittorio Dotti è un uomo gentile, pacato, accattivante. Mentre si racconta al pubblico che affolla le presentazioni del suo libro, lo sguardo rimane fermo, diretto. E’ una persona sincera, perbene. Un avvocato a cui è sempre stata a cuore la giustizia costituzionale, non un sostenitore ‘a prescindere’ del suo cliente più ricco. Dunque il suo rapporto con Silvio Berlusconi non poteva durare in eterno. Nel 1996, dopo sedici anni di collaborazione, le rivelazioni fatte ai magistrati dalla sua fidanzata Stefania Ariosto, nome in codice “fonte Omega”, riguardanti la corruzione dei giudici operata materialmente da Cesare Previti per ottenere sentenze favorevoli nei processi Lodo Mondadori e Sme, lo hanno trasformato di colpo nel nemico numero uno di Silvio e del suo entourage.
«Smentisci la Ariosto e io ti faccio sindaco di Milano.» gli chiede il presidente dopo il patatrac delle rivelazioni. «E’ il 15 marzo 1996. Roma è incappucciata dalle nuvole.» racconta Dotti. «Pioviggina e spira un vento fresco. Silvio Berlusconi e seduto di fronte a me, nell’elegante salotto della sua dimora capitolina di via dell’Anima. I suoi occhi sono fissi nei miei. Siamo soli, senza testimoni: è la resa dei conti. «Ti metto a disposizione i miei telegiornali, mi dice. Non ti chiedo molto, basta una tua semplice dichiarazione.»
Vittorio Dotti disse no. Se avesse accontentato il cavaliere, smentendo Stefania Ariosto che all’epoca era la sua compagna, il che avrebbe significato farla passare per pazza, avrebbe sicuramente vinto le elezioni e Milano lo avrebbe avuto sindaco.
«Ma non potevo accettare. Non si può smentire qualcosa che non si conosce e io non conoscevo il contenuto delle rivelazioni della ‘Fonte Omega’. Erano secretate.» spiega. «Oggi sono felice di non essermi piegato. Tanto più che i giudici alla fine hanno dato ragione alla Ariosto.»
Quel rifiuto cosò molto caro a Vittorio Dotti. Nel 1996 era vicepresidente del Senato e capogruppo di Forza Italia alla Camera. Uno degli uomini più vicini a Berlusconi. Quel no gli scatenò contro una feroce campagna mediatica alla quale si sottrasse solo sprofondando nell’anonimato e ripartendo professionalmente da zero. Oggi è un affermato avvocato del foro milanese. Dopo alcune esperienze nel centrosinistra ha lasciato la politica per rimettere a posto i cocci della sua vita senza scendere a compromessi. E ne è fiero.
Questo libro, che si giova di uno stile narrativo molto gradevole, racconta la vicenda umana e politica di uno dei pochissimi uomini, forse l’unico, capace di dire no a Silvio Berlusconi nel periodo in cui era all’apice del successo e godeva di un potere smisurato. Una storia italiana esemplare, che aggiunge importanti tasselli, molti dei quali inediti, alla conoscenza del mondo di Arcore e dell’era berlusconiana, a partire dal 1980 fino all’uscita di scena dell’avvocato nel 1996. Un documento assolutamente unico nel suo genere, che dà anche una spiegazione al mistero della ‘grande illusione berlusconiana’ che ha incantato il Paese per un ventennio e che ancora, in una certa misura, continua a incantare.
Vittorio Dotti, Andrea Sceresini
L’AVVOCATO DEL DIAVOLO. I segreti di Berlusconi e di Forza Italia nel racconto inedito di un testimone d'eccezione
Chiarelettere, 220 pagine, 12,41 euro anziché 14,60 su internetbookshop.
Incipit; Prologo. Marco Tanzi. Milano, dieci anni fa.
Sfreccio come un pazzo lungo le strade congestionate dal traffico, neanche fossi un personaggio di Grand Theft Auto. Al posto dello schermo al plasma, il parabrezza dell’auto di servizio. Invece del Joystick, il volante che stringo tanto forte da sbiancarmi le nocche. Gocce di sudore mi scendono lungo le tempie e sento la giugulare che mi pulsa per il battito accelerato. Non conto neanche più i semafori rossi, le strombazzate di clacson, i gestacci di quelli a cui taglio la strada.
«Marco, sono Luca,» gracchia la voce nella mia radio portatile, «Dammi la posizione.»
«Via Turati,» rispondo. «Tre minuti e sono sul posto.»
«Marco, non fare stronzate,» cerca di tranquillizzarmi il mio collega . «Saranno lì in dieci minuti al massimo e sto arrivando anch’io.»
«Dieci minuti sono troppi, lo sai!»
«Marco, se sono già arrivati non puoi intervenire da solo … Aspetta la pattuglia, Cristo!»
«Ti chiamo appena sono lì, chiudo.»
Ma erano già arrivati. I criminali, cioè.
La scena che si presenta agli occhi di Marco Tanzi, poliziotto dell’investigativa anticrimine a Milano, è inenarrabile : una carneficina. La famiglia di Tong, il suo confidente cinese, era stata massacrata. Tong stesso era stato torturato a morte dalla banda di armeni sui quali aveva spifferato.
Questo romanzo non è solo un thriller mozzafiato alla Mickey Spillane. E’ anche un affresco molto vivido dell’inferno che si agita sotto le acque apparentemente placide di Roma e di Milano, città molto amate dagli autori di romanzi noir perché entrambe hanno volti nascosti particolarmente feroci e anime che le cronache non possono descrivere perché chi vi appartiene non ne parla altrimenti farebbe la fine di Tong.
A Roma ci sono i palazzi del potere e il potere, si sa, è corrotto e corrompe. A Milano si fanno affari, corrono soldi, gira droga come se nevicasse per questo c’è tanta malavita. Malavita nostrana, insediata nei quartieri da decenni e malavita straniera, decisa a farsi strada nel crimine a colpi di machete.
Marco Tanzi, il brillante poliziotto che dieci anni prima era arrivato per primo nell’appartamento del massacro, dopo una lunga catena di sbagli e di tradimenti è finito in strada. Un paria abbandonato dalla moglie, trasferita a Roma con la figlia Giulia, diventato oggetto di scherno per gli ex colleghi che se lo citano a vicenda quando il suo nome finisce nei mattinali per le solite risse fra ubriachi. Sarebbe condannato a morire di cirrosi da solo, in un parco pubblico, se un giorno non capitasse qualcosa di tremendo che lo strappa alla strada: sua figlia scompare.
La ragazza da una settimana non dà notizie di sé e il suo ex amico ed ex collega Luca Betti, diventato vicecommissario, non può fare finta di nulla. Un tempo Giulia frequentava la sua casa ed era amica di sua figlia Sara. E per lui Marco Tanzi, anche da quel alcolista da strada che è diventato, da quel traditore che si è meritato tutto lo sprofondo che lo ha inghiottito, rimane sempre un padre. Dunque, contro il parere della moglie decide di cercarlo per avvertirlo.
Luca non ha alcuna competenza nelle indagini sulla scomparsa di Giulia avvenuta a Roma, città che, quanto a crimini feroci, a malavita organizzata e a bande di stranieri, supera Milano. Però il regolamento e le procedure non lo fermano. Prende un periodo di ferie e parte per la capitale senza illudersi che l’ex amico lo segua . Per come lo ha visto, in strada, Marco Tanzi è ormai al di là di tutto, anche dei sentimenti paterni. E invece si sbaglia.
I due, seppelliti gli antichi rancori, si ritrovano di nuovo uniti nel cercare Giulia dentro il ventre osceno della capitale. Come una volta.
Un romanzo forte che punta sia sulla storia in sé e sui colpi di scena, sia sui personaggi, sull’ambiente e sulla descrizione del degrado sociale che negli ultimi dieci anni è andato aumentando nelle grandi città in maniera esponenziale.
Romano De Marco
IO LA TROVERO’
Feltrinellihi, 328 pagine, 12,75 euro anziché 15,00 su internetbookshop.
Incipit: (dalla prefazione di Marco Travaglio).Basta mettere in fila i fatti.
A un certo punto del loro racconto, Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci buttano lì una frase che è la chiave del libro: «Sarà un caso, ma dal 1994 in Italia non si è più verificata una strage». Poco più avanti, ricordano quando Salvatore Riina, dalla gabbia del processo Scopelliti, il 25 maggio 1994 diede la linea al primo governo Berlusconi appena insediato: «C’è tutta questa combriccola, il signor
Caselli, il signor Violante, questo Arlacchi che scrive libri... Ecco, secondo me il nuovo governo si deve guardare dagli attacchi di questi comunista (sic)». Cinque mesi dopo il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi dichiarò da Mosca: «Speriamo di non fare più queste cose sulla mafia, perché questo è stato un disastro che abbiamo combinato insieme in giro per il mondo. Dalla Piovra in giù. Non ce ne siamo resi conto, ma tutto questo ha dato del nostro
Paese un’immagine veramente negativa. Quanti sono gli italiani mafiosi? Noi non vogliamo che un centinaio di persone diano un’immagine negativa nel mondo».
Prima parte. L’Infiltrato. Carissimo zio
«Mi chiamo Luigi Ilardo, mi chiamo Luigi Ilardo, mi chiamo Luigi Ilardo.»
Gli succede sempre più spesso di ripetere il proprio nome fino a storpiarne il senso e il suono.
Lo ripeterà altre cento volte, tutte le volte che sarà necessario: davanti ai carabinieri, ai giudici che lo interrogheranno, in un’aula di tribunale, a chiunque glielo chiederà.
Di lì a poco però, per molto tempo, forse per sempre, nel trantran quotidiano, fra la gente e perfino a un controllo di polizia, quel nome, il suo nome, non lo potrà più fare.
Eppure tutto è iniziato da là, da quel «Mi chiamo Luigi Ilardo», cui è seguito un lungo racconto che continua così: «Sono arrivato a prendere il mondo nelle mani il giorno in cui fui fatto uomo d’onore...».
«Mi chiamo Luigi Ilardo, mi chiamo Luigi Ilardo, mi chiamo Luigi Ilardo.»
Da anni si parla della trattativa. Ormai tutti gli italiani sanno che dopo le stragi siciliane, fra il ’92 e il ’93, dall'omicidio di Salvo Lima in poi, ci furono contatti tra uomini dello Stato e Cosa nostra. Inoltre è noto e assodato che a condurre la trattativa per far cessare le bombe furono il colonnello Mario Mori e il Capitano Giuseppe De Donno del Ros, i quali, tramite l’ex sindaco di Palermo Vito Ciancimino, si accordarono con Salvatore Riina, il feroce capo dei corleonesi che aveva chiesto una lunga serie di importanti benefici (il papello) per i boss in cambio della pax mafiosa.
Questo si sa.
Purtroppo, quando si è convinti di sapere, capita di scoprire che in realtà si sapeva ben poco. Anzi, niente.
Sono molti i misteri che avviluppano questo paese in una specie di cortina di ovatta che cancella la memoria collettiva e addomestica le scelte politiche dei cittadini. Fra questi c’è anche quel buco nero che i media chiamano ‘Il patto’. In queste pagine viene esaminato sotto una luce diversa che, se possibile, rende ancora più sinistre le manovre di chi ha fatto di tutto per mettere l’Italia in ginocchio davanti allo strapotere del tritolo. Una luce che fa risaltare una verità incontrovertibile: il biennio sanguinario e tutto quello che seguì, comprese la pax mafiosa e la nascita della Seconda Repubblica, non furono un parto della mente perversa del ‘capo dei capi’ Riina, ma facevano parte di una precisa strategia messa in atto da coloro che volevano che il paese, uscito sfiancato dall’uragano Tangentopoli, vivesse nella paura e nell’incertezza, affinché da ogni parte si invocasse un nuovo ordine politico che avrebbe dato stabilità sotto una finta sensazione di sicurezza, affinché certi poteri potessero affermarsi, certi nodi potessero stringersi e certi affari potessero essere portati tranquillamente in porto.
‘Il Patto’ è un pezzo di storia che fa paura perché a sua volta contiene tante storie di morte e ingiustizia che devono essere conosciute se si vuole capire cosa sia davvero accaduto in quegli anni e come sia stato possibile che un paese potenzialmente ricco sia arrivato sull’orlo del tracollo finanziario. E quale anestetico sia stato impiegato per addormentare le coscienze dei cittadini al punto da convincerli a votare in massa loschi figuri che hanno contrabbandato come curriculum le proprie fedine penali. E come abbiano fatto gli italiani, gli stessi che con coraggio e determinazione si erano liberati di fascisti e invasori, a lasciarsi sottomettere da avidi funzionari e da manager dotati di un robusto istinto predatorio.
Troppe cose sono state nascoste. Su troppi fatti i media hanno taciuto se non addirittura mentito. Su troppi crimini è stato apposto il segreto di Stato. Ma la verità era nei fatti: sarebbe bastato metterli in fila cronologicamente e leggerli nell’insieme e la storia dello sciagurato ventennio appena trascorso forse avrebbe preso una piega diversa.
Mettere in fila i fatti per dare una logica agli eventi che hanno segnato la storia recente è appunto quello che si è proposto di fare questo libro: un saggio, rigoroso e documentato che si legge come un romanzo nero. E che di fatto lo è, dal momento che nel grande arazzo che si disegna appare la genesi, nerissima, della terza Repubblica.
Assolutamente da leggere.
Nicola Biondo, Sigfrido Ranucci
IL PATTO. Da Ciancimino a Dell'Utri. La trattativa Stato e mafia nel racconto inedito di un infiltrato
Chiarelettere, 369 pagine, 13,60 euro anziché 16,00 su internetbookshop. Disponibile in E-book al prezzo di 5,99 euro.
Incipit: Dalla prefazione di Giuseppe Pignatone (procuratore della Repubblica di Roma).
Lionello Mancini [l’autore] è un giornalista di vaglia e - non credo mi faccia velo l’amicizia - come tale annovera fra le sue caratteristiche una forte curiosità. Curiosità per i fatti ma anche, e direi ancora prima, per le persone che di quei fatti sono protagoniste.
Da giornalista economico, per molti anni al ‘Sole 24 Ore’. Mancini ha progressivamente allargato il suo campo d’interesse (e appunto la sua curiosità) al mondo della giustizia, della magistratura, dei processi, includendo tutti quei temi che sono sempre più spesso parte rilevante del dibattito pubblico in Italia e che condizionano, piaccia o no, molti aspetti della vita sociale, politica e anche economica del paese.
1. Lucia Musti.
Giovedì 2 marzo 2006. Lucia Musti è in casa quando squilla il telefono.
«Pronto?» risponde Chiara, 15 anni, la figlia nata dal primo matrimonio e che vive con la magistrato e il suo secondo marito.
«Mamma, è per te,» dice la ragazza allungando il braccio con la cornetta in mano.
«Sì? Chi parla?»
«Ah, Luci’, ciao so’ io» dice dall’altra parte del filo la voce familiare di Giovannini, il collega dall’inconfondibile cadenza romanesca.
«Ciao Valter.»
«Ah, Luci’, ma lo sai che si sono portati via un bambino a Parma?»
Il bambino è il piccolo Tommaso Onofri. Molti ricorderanno che il suo rapimento aveva tenuto il paese intero incollato ai notiziari.
Lucia Musti è ‘la magistrato’ a cui è toccato occuparsi della vicenda.
Questo libro, che entra “dentro” i fascicoli giudiziari non è esattamente una novità essendo stato pubblicato un anno fa. La scelta di inserirlo in questa pagina di recensioni vuol essere la risposta all’emendamento che attribuisce la responsabilità civile ai magistrati, presentato di recente dalla Lega Nord e approvato con i voti di tutti i partiti a accezione del M5S: uno scivolone per il governo e una vittoria per chi da sempre fa fatto il possibile per minare alle fondamenta l’indipendenza della magistratura stabilita dalla carta costituzionale. Infatti, non è difficile immaginare come sarà difficile d’ora in poi per un piemme sostenere fino in fondo le proprie convinzioni riguardo alla colpevolezza di chicchessia sapendo in anticipo che se mai in cassazione le sentenze precedenti venissero ribaltate, il presunto colpevole, magari assolto grazie a cavilli e scappatoie, sarebbe legittimato a pretendere (e a ottenere) un risarcimento non dallo Sato notoriamente cattivo pagatore, ma direttamente dal magistrato stesso.
E’ difficile il mestiere di magistrato. Difficile e privo di certezze perché oggi la legge è di gran lunga più benevola nei confronti di chi commette reati piuttosto che nei confronti delle vittime. Questo libro, che ha come protagonisti uomini e donne in prima linea sul fronte della giustizia, entrando nel vivo dei casi giudiziari di cui si sono abbondantemente occupate le cronache riportando spesso mezze verità e in certi casi anche menzogne e sciocchezze, fa capire meglio di qualunque discorso come sua difficile istruire un processo, leggere e interpretare le carte, trovare riscontri oggettivi, valutare e decidere. Soprattutto fa capire come mai in Italia la verità storica e la verità scritta nelle sentenze divergano così tanto e così spesso.
Lionello Mancini
L’ONERE DELLA TOGA
BUR, 283 pagine, 8,25 euro anziché 11,00 su internetbookshop. Disponibile in E-book al prezzo di 6,99
Incipit: Questo libro. «Ci sono verità che non ho mai potuto dire. Perche, pur intuendole e a volte intravedendole o addirittura vedendole chiaramente, non potevano essere provate sul piano giudiziario. Erano verità ‘indicibili’, secondo il neologismo coniato dal mio amico Giovanni Pellegrino e, scritte in una sentenza, avrebbero potuto produrre effetti destabilizzanti sugli equilibri interni e internazionali.» Non l’ho mai dimenticata, quella frase del giudice Rosario Priore. La pronunciò quando c’incontrammo la prima volta, nel 2003. Da allora abbiamo avuto una lunga frequentazione alimentata dalla comune curiosità per l’«indicibile» della storia italiana e dall’esigenza di comprensione dei fatti. Chissà quante ore abbiamo trascorso insieme a leggere e a discutere nel tentativo di comporre un quadro in cui gli avvenimenti tragici del dopoguerra fossero decifrabili.
Il limite della verità giudiziaria
Giudice Priore, lei ha indagato per alcuni decenni sui fatti più clamorosi di violenza politica e terrorismo in Italia. Si ritiene soddisfatto del livello di verità raggiunto?
No, assolutamente no. Perché ho constatato che la verità giudiziaria non coincide mai con la verità storica. La prima è una verità pratica, che ha una funzione temporanea utile a fronteggiare l’urgenza di risoluzione degli attacchi terroristici. La seconda non può che discendere da un’analisi e da una comprensione più vaste dei fenomeni, dalla collocazione dei fatti in contesti più generali, di cui vanno valutati cause, circostanze ed effetti.
Ma lei ha avuto tra le mani molti dei processi più importanti. Qualcuno potrebbe obiettare che, se non esiste ora una verità soddisfacente, probabilmente la colpa è anche sua.
In effetti, ho seguito molte inchieste importanti con illustri colleghi come Ferdinando Imposimato, Giancarlo Caselli, Armando Spataro e tanti altri che hanno dedicato la vita all’adempimento del loro dovere. Naturalmente il nostro compito era quello di cercare una verità giudiziaria, cioè di individuare reati e rei e portarli alle condanne. Su questo piano abbiamo ottenuto molti risultati. Mi lasci aggiungere, però, che mentre alcuni si sono acquietati o si sono vantati di averraggiunto livelli esaustivi di verità, io ho cercato di far risaltare anche quella verità intravista dietro le carte.
Un libro-intervista duro - che torna in libreria in edizione tascabile - scomodo, facile da leggere ma difficile da assimilare e ancora di più da accettare. Perché la verità-vera non piace mai a nessuno. E in questo caso la verità supera le più azzardate elucubrazioni dei complottisti, i sospetti dei dietrologi, le ipotesi dei pessimisti. Ebbene: eccola servita da Rosario Priore, un giudice in prima linea impegnato nelle indagini su alcuni episodi fra i più oscuri e sanguinosi. Quei ‘misteri italiani’ mai chiariti e mai realmente definiti processualmente che hanno lasciato sul terreno cittadini inermi, uomini politici non schierati, magistrati, professionisti.
Dall’ordigno piazzato sull’aereo privato di Enrico Mattei ed esploso in volo sopra Bascapè, all’abbattimento del DC9 Itavia nel cielo di Ustica; i rapporti che hanno legato per decenni l’Italia a Gheddafi per il petrolio; il ‘lodo Moro’, cioè il patto segreto stipulato con i palestinesi affinché non compissero più attentati sul suolo italiano dopo quello di Fiumicino; La nascita delle Br e i rapporti occulti dei loro capi con i servizi segreti internazionali e nazionali; il ruolo della scuola di lingue parigina Hyperion nella genesi del terrorismo.E poi, l’eterno conflitto fra “fare giustizia” e ‘insabbiare tutto’ in nome della ragion di Stato. E non bisogna dimenticare il rapimento e l’omicidio di Aldo Moro: l’azione terroristica che fu madre di tutto l’indicibile e di molte vergogne. E poi, i traffici in Vaticano, l’attentato al papa e il rapimento di Emanuela Orlandi, la strategia della tensione e le contiguità con le mafie.
Dopo la desecretazione dei documenti e degli atti giudiziari voluta dal presidente del consiglio Matteo Renzi, il giudice, Rosario Priore ha finalmente potuto mettere sulla carta tutte quelle verità ‘indicibili’, accumulate nel corso di anni e anni di indagini, mai venute a galla prima, anche se spesso erano addirittura palesi. «Verità che,» come spiega lo stesso magistrato, «pur intuendole, intravedendole o addirittura a volte vedendole chiaramente, non potevano essere provate sul piano giudiziario».
Verità, quindi, che per i cittadini, per la giustizia, per le vittime e soprattutto per quel senso dell’onore e del decoro che dovrebbe guidare sempre gli uomini ai vertici delle istituzioni in un paese democratico, fino a oggi nel non hanno avuto il diritto di esistere.
Giovanni Fasanella, Rosario Priore
INTRIGO INTERNAZIONALE. Perché la guerra in Italia. Le verità che non si sono mai potute dire
Chiarelettere, 208 pagine, 5,95 euro anziché 7,00 su internetbookshop.
Incipit. Un minuto prima del Rischiatutto. Mercoledì 6 febbraio 1974, Fiera campionaria, studi esterni, ore 17.17. “Fiato alle trombe, Turchetti!”.
Poi tossicchia, tira fuori la lingua, la guarda allo specchio, stringe la cravatta e borbotta. Ha fatto la storia fino a qui, non sarà un po’ di mal di gola a fermarlo. L’America, la guerra, i partigiani, i tedeschi che volevano fucilarlo, il carcere, l’Italia. La televisione l’ha inventata lui. Anzi no, non è vero. Di più. La televisione lui l’ha messa nelle case della gente. Tossisce. Più forte, per schiarire la voce, solleva il braccio, e declama: “Fiato alle trombe, Turchetti!”
Cammeo: Fu all’alba di un arido giorno d’estate, che lo raccolsero. Indossava il viso logoro e meraviglioso che hanno i giovani che soffrono. Un viso denso della malinconia non soltanto per una vita passata, ma pure per tutte quell’altre perdute senza essere state vissute.
Il suo corpo era forte, asciutto, ben scolpito, ma l’assenza d’acqua che l’aveva tradito in quel deserto senza confini l’aveva reso inerte, uno stelo che pur attaccato al fiore non lo sorregge. La divisa dell’esercito occidentale era consumata, sbiadita da un sole impietoso.
Questo romanzo è il piccolo, delizioso affresco di una breve stagione: quella in cui gli italiani si divertivano in massa con un quiz televisivo per nulla spettacolare, ingenuo nella struttura, senza ballerine seminude né stacchetti comici.
Costruito non su parole ma su pensieri, immagini e suggestioni, Operazione Rischiatutto rievoca le sceneggiature di Cesare Zavattini e Nanni Loi, per tacere di Dino Buzzati a cui dedica il Cammeo “fra le pagine”, una storia nella storia solo apparentemente avulsa dalla narrazione principale.
I protagonisti sono tre poveracci che si arrabattano nella Milano degli anni ’70, quella che ha regalato grandi ricchezze a chi le possedeva già, gettando le basi per quella povertà diffusa che dopo lo scialo di un boom solo apparente ha iniziato a mordere le caviglie degli italiani e oggi si sta divorando intere generazioni. E qui, la scelta del periodo storico in cui si muovono i protagonisti non è casuale.
Angelo: fiorista. Aveva un chiosco davanti al cimitero Monumentale ma una notte, per colpa della sua distrazione, è andato distrutto lasciandolo senza lavoro e coperto di debiti che non può pagare.
Lorenzo, pubblicitario. Lui il lavoro ce lo avrebbe ancora, ma il vizio del gioco lo ha consegnato agli strozzini che gliel’hanno giurata.
Osvaldo, oste. Con la moglie gestisce una trattoria con bocciofila in via Ripamonti, zona sud di una Milano in espansione. I clienti non mancherebbero ma i palazzinari, che stanno cementificando quella che ai tempi di Emilio De Marchi era la più bella e più fertile campagna di Lombardia, hanno messo gli occhi anche su quell’area.
Ai tre si aggiungono un ispettore di polizia di nome Malaspina, detto Mala per gli ambienti che bazzica: ha pestato i piedi al questore che lo ha fatto trasferire alla divisione Politica, a spiare e gli studenti e gli operai che fanno le manifestazioni. Un cronista di nera del Corriere, tale Dino Lazzati, detto ‘Fernet’, talmente bravo e introdotto nel mondo della malavita da aver suscitato la preoccupazione delle alte sfere di via Solferino che lo hanno fatto trasferire al settimanale Annabella, a seguire La posta del cuore. E, infine, tutta una schiera di comprimari che finiscono per trovarsi coinvolti nel colpo del secolo progettato dai tre compari: rapire Mike Buongiorno all’uscita degli studi Rai dopo una puntata del Rischiatutto per ottenere un riscatto che cambierà diverse esistenze.
Ovviamente ai tre le cose vanno storte, più o meno come nel film L’audace colpo dei soliti ignoti. Ma non è la la vicenda in sé che conta. E nemmeno l’epilogo audace e inaspettato. A fare la differenza è la filosofia di fondo che anima l’intera narrazione e pervade il cammeo dedicato a Dino Buzzati. Filosofia e che può essere sintetizzata così: “Nessuno è mai sicuro di dove stia andando, sceglie una direzione, e la segue. Ma nessuno può sapere dove porti davvero. Né se saperlo importi.”
Riccardo Besola, Andrea Ferrari, Francesco Gallone
OPERAZIONE RISCHIATUTTO. Milano 1974
Frilli editori, 208 pagine, 8,42 euro anziché 9,90 su internetbookshop. Disponibile in E-book al prezzo di 5,49 euro.
Incipit: Dalla prefazione di Gian Carlo Caselli. L’elenco delle vittime della violenza omicidiaria terroristica o mafiosa, in Italia, è purtroppo sterminato. In questo libro – bello nella sua tragica cupezza – Antonella Mascali ne rievoca molte sull’uno e sull’altro versante, dedicando a ciascuna un lucido e preciso commento, intrecciato con citazioni – anche inedite o poco conosciute – di interventi degli stessi protagonisti, spesso struggenti perché testimoniano la consapevolezza dei rischi incombenti che si sarebbero poi concretizzati in un attentato mortale.
Introduzione: Per la prima volta un libro raccoglie le ultime parole, diventate un testamento spirituale, di servitori dello Stato (magistrati, investigatori, politici, preti, giornalisti, avvocati,imprenditori, professori) che, per non aver mai arretrato nel loro compito, anche se avevano avuto la percezione dell’isolamento e della morte dietro l’angolo, sono stati uccisi. Essendo un libro, non può contenere tutte le storie, le troppe storie tragiche della nostra Italia, un paese che continua a essere anormale. Dove la corruzione e la regola e non l’eccezione. Dove la Mafia Spa e sempre al primo posto per fatturato. Dove chi fa soldi facili ed evade le tasse, viene visto da tanti, troppi, con ammirazione. Dove il merito è un miraggio e la raccomandazione un fatto normale o un male.
In un Paese con poca memoria, che tende, là dove fa comodo, a confondere il dito con la luna, nel quale le verità mediatiche preconfezionate sono spesso le uniche verità, quelle a cui il grande pubblico crede a prescindere, perché la tivù non può mentire anche se sono bugie palesi, un libro come questo può risultare scomodo, irritante, indigesto perché mette in discussione con la forza della verità molti dogmi del pensiero unico nazionale e quindi disorienta, fa crollare certezze rassicuranti, destabilizza.
Anzitutto i magistrati. Vent’anni di guerra senza esclusione di colpi alle ‘toghe’ hanno instillato nei cittadini il convincimento che i tribunali siano pieni di stalinisti assetati di sangue, che la ‘macchina della giustizia’ sia un meccanismo che stritola gli innocenti e che il garantismo, nuova virtù teologale, debba per forza significare impunità.
Le cose stanno diversamente. I magistrati in questo paese, salvo poche eccezioni, fanno i magistrati cioè indagano e giudicano in base alle carte che hanno in mano. Per legge sono vincolati all’obbligatorietà dell’azione penale, il che significa che appena hanno notizia di un reato (notitia criminis) devono aprire un fascicolo e iniziare le indagini. E nel fare questo, che è semplicemente il loro dovere, a volte rischiano la vita e sono costretti a vivere blindati. La sorte toccata a persone come Mario Amato, Guido Galli, Rosario Livatino, Girolamo Minervini e, naturalmente Giovanni Falcone e Paolo Borsellino (giusto pochi esempi di una serie interminabile di vittime), protagonisti di queste pagine, parlano più di mille discorsi. Altro che toghe rosse e giustizia a orologeria!
Poi ci sono i giornalisti, altra categoria messa alla gogna. Quelli che hanno rischiato la vita e l’hanno persa per scrivere verità indicibili senza mai accettare di piegarsi alla ‘linea del giornale’ quando veniva loro chiesto di scrivere mezze verità fuorvianti se non addirittura menzogne: Giuseppe Fava, Peppino Impastato, Mauro Rostagno, Giancarlo Siani, Walter Tobagi. Loro, per la verità sono morti.
E i preti. Don Diana e don Puglisi: sacerdoti di trincea, che la lotta alla mafia l’hanno fatta davvero cercando di sottrarre manovalanza alle cosche. Per i credenti sono santi. Per i cittadini capaci di pensare in proprio sono eroi.
E i professori. Vittorio Bachelet e Marco Biagi. Anche loro sentivano di essere in pericolo, eppure quella la scorta che non si nega a nessuno, neanche agli ex ministri da tempo senza alcuna carica istituzionale, a loro era stata negata.
E che dire degli avvocati? Anche nelle loro file ci sono martiri. Giorgio Ambrosoli, per esempio.
E gli imprenditori che non si sono piegati alla mafia, che non hanno pagato il pizzo ritenendolo un’oscenità: l’autrice dà voce anche a loro.
“Non sono un pazzo, sono un imprenditore e non mi piace pagare. Rinuncerei alla mia dignità.” Così aveva detto Libero Grassi nel corso di una trasmissione televisiva. E puntualmente dopo quest’affermazione in pubblico la mafia gli ha tappato la bocca con le pallottole.
E infine i politici, perché ce ne sono stati anche fra loro di uomini e donne che non hanno chinato il capo finendo per diventare vittime di proprie decisioni prese ‘in scienza e coscienza ’ davanti al Paese e non davanti ai capi di partito: Renata Fonte, Pio La Torre, Piersanti Mattarella, Aldo Moro, Marcello Torre sono nomi che le nuove generazioni non conoscono e che le vecchie preferiscono ignorare aggiungendo l’oblio in morte alla solitudine che li aveva accompagnati in vita.
Antonella Mascali
VI ASPETTAVO. Le ultime parole di chi ha scarificato la propria vita per tutti noi
Chiarelettere, 416 pagine, 13,60 euro anziché 16,00 su internetbookshop. Disponibile in E-book al prezzo di 9,99