LA   NEWSLETTER   DI   MISTERI   D'ITALIA

          Anno 7 - Numero 110 (speciale Tommaso)                     11 aprile 2006

storia in rete
Se avete inserito MISTERI D'ITALIA tra i vostri preferiti o se lo avete in memoria nella cronologia del vostro computer, ricordatevi SEMPRE di cliccare su AGGIORNA.
Meglio ancora farlo su ogni pagina.
Sarete subito al corrente delle novità inserite.

 

L’ORRENDO ASSASSINIO DEL
PICCOLO TOMMASO ONOFRI

La terribile vicenda del piccolo Tommaso ha tenuto l’Italia con il fiato sospeso per un mese esatto.
Sequestrato il 2 marzo ed ucciso poche ore dopo il rapimento, gli assassini di Tommaso Onofri, 18 mesi appena, sono stati arrestati il 1° aprile.
Ad aver organizzato il “colpo” - per loro stessa ammissione - due balordi, Salvatore Raimondi e Mario Alessi, con ogni probabilità con la complicità della moglie di quest’ultimo, Antonella Conserva.
Ad una decina di giorni dalla loro incarcerazione gli elementi ancora non chiari di questa vicenda sono ancora molti e non di poco conto.
Proviamo ad elencarli:

  1. Raimondi ed Alessi, pur ammettendo il sequestro a scopo di estorsione, si rimpallano la responsabilità dell’omicidio. Secondo il Gip che ha confermato gli arresti, ad uccidere Tommaso sarebbe stato Alessi. Ancora non ben delineato il ruolo della Conserva che, comunque, sarebbe dovuta essere la “carceriera” del bambino.
  2. Oscuri ancora i motivi che hanno spinto i due, o uno dei due sequestratori, ad uccidere il piccolo Tommy pochi attimi dopo il suo rapimento. Che razza di sequestratori a scopo di estorsione sono rapitori che eliminano l’ostaggio? In vicende di sequestro la cosiddetta “prova in vita” del sequestrato è alla base di qualsivoglia trattativa.
  3. Misterioso anche il modo in cui i due (o tre) sequestratori intendessero gestire il sequestro che, difatti, non fu gestito.
  4. Nebulosa anche la maniera in cui Paolo Onofri, il padre di Tommaso, avrebbe dovuto pagare un eventuale riscatto. Gli Onofri sono semplici dipendenti statali, privi di ricchezze personali. I rapitori di Tommy affermano di essersi fatti suggestionare da un’affermazione dello stesso Paolo Onofri e cioè che il caveau dell’ufficio postale che lo stesso dirigeva sarebbe stato pieno di denaro, tanto che i due intendevano chiedere un riscatto tra il milione e i conque milioni di euro.
  5. In questa strana vicenda restano sullo sfondo troppi personaggi: persone a cui Alessi avrebbe proposto il sequestro di Tommaso e che per un mese intero hanno taciuto, ma anche lo stesso Paolo Onofri e il suo “vizietto” pedopornografico e poi ancora un’ancora oscuro giro di soldi riciclati che unirebbero, probabilmente, Onofri allo stesso Alessi.

Insomma la tragedia di Casalbartolo è ancora tutta o quasi da chiarire.

Come contributo di conoscenza pubblichiamo il testo integrale dell’Ordinanza per la conferma degli arresti emessa dal Gip del tribunale di Parma Armando Mammone.

ORDINANZA PER LA
CONVALIDA DEGLI ARRESTI

In data 2 marzo 2006, alle ore 19.52 circa due persone - armate di coltello e pistola e travisate: uno con casco da motociclista, l'altro con passamontagna - si introducevano all'interno dell'abitazione dei coniugi Paolo Onofri e Paola Pellinghelli e, dopo essersi fatti consegnare del denaro da quest'ultima, immobilizzavano i due adulti ed il bambino Sebastiano con nastro adesivo da imballaggio; quindi, si allontanavano dall'abitazione portando con sé il piccolo Tommaso, di mesi 18 circa ed affetto da una grave forma di epilessia.

Onofri Paolo e Pellinghelli Paola venivano ascoltati più volte dagli inquirenti. Il nocciolo essenziale dei fatti, così come da loro ricostruito, restava sempre lo stesso: verso le 19,45 circa, mentre si accingevano a cenare con i figli Sebastiano, di anni 8, e Tommaso, andava via la luce al piano inferiore; ciò determinava Paolo Onofri ad alzarsi da tavola per uscire di casa ed individuare la causa del black out, impossibile da risolvere dall'interno; all'atto di aprire la porta, però, veniva spintonato dal primo dei rapitori, travisato con passamontagna ed armato di coltello, che irrompeva nell'abitazione insieme ad altro malfattore, travisato con casco da motociclista ed armato di pistola. Questo, dopo essersi fatto consegnare dalla Paola la somma di euro 150, puntava la pistola alla tempia di Tommaso, mentre il complice immobilizzava col nastro adesivo dapprima Onofri Paolo, poi Pellinghelli Paola e quindi il primogenito Sebastiano. Fatto ciò, il rapitore armato di coltello prelevava dal seggiolone l'infante Tommaso, per poi darsi alla fuga.

Le forze di polizia, allertate dai coniugi Onofri, che erano riusciti da soli a liberarsi dalle sommarie legature, iniziavano immediatamente le indagini, attivando - debitamente autorizzate - numerosissime operazioni d'intercettazione, telefoniche e ambientali, nonché numerosi servizi di pedinamento e controllo.
Le indagini, per l'assoluta mancanza di qualunque forma di contatto tra i rapitori e la famiglia di Tommaso, si concentravano nello scandagliare la vita privata dei coniugi Onofri per la ricerca di possibili moventi (atteso che le condizioni economiche della famiglia non sembravano tali da consentire il pagamento di un riscatto).
La svolta nelle indagini arrivava il 14 marzo c.a., quando il Ris dei Carabinieri di Parma individuava sulla superficie del nastro da imballaggio utilizzato per legare la madre del piccolo Tommaso l'impronta digitale dell'indice della mano sinistra di Raimondi Salvatore. Attraverso il controllo delle utenze telefoniche utilizzate dal Raimondi si perveniva all'identificazione di Mario Alessi, con cui intratteneva frequenti contatti telefonici. L'Alessi appariva fin da subito l'anello di collegamento tra Raimondi e la famiglia Onofri.
Mario Alessi, infatti, risultava avere lavorato alle opere di ristrutturazione del casale nel quale abitava la famiglia Onofri, occupandosi, tra l'altro, di realizzare le c.d. "tracce" dell'impianto elettrico. Ciò creava una situazione fortemente indiziante a suo carico, atteso che chi aveva operato il sequestro aveva dimostrato di conoscere bene il funzionamento del predetto impianto e, in particolare, la presenza all'esterno della casa di una spina - installata sulla linea a servizio dell'interno dell'abitazione - mandando in corto circuito la quale era possibile togliere l'elettricità all'appartamento. I coniugi Onofri, inoltre allorché incontravano l'Alessi nei locali della Questura notavano che la postura e la camminata dello stesso era assai simile a quella del rapitore armato di pistola.

Le indagini proseguivano nella speranza di individuare il luogo dove Tommaso era stato nascosto. In particolare, dopo la registrazione di una conversazione telefonica tra Tonio Marrazzo, amico stretto del Raimondi, e della sua convivente Pashai Valbona, nella quale si faceva riferimento allo stato di salute del bambino, gli inquirenti seguivano con particolare attenzione le tracce dei predetti.
Allorché, il 31 marzo, la coppia tornava a parlare di un bambino "che sta bene", accertato che la stessa non aveva bambini, gli inquirenti disponevano perquisizioni in serie. Quella eseguita nei confronti del Raimondi, portava a rintracciare un altro elemento di prova a suo carico, costituito dallo schema del tracciato stradale da seguire per arrivare da Parma a Citerna (località dello Spezzino nella quale avrebbe dovuto essere tenuto nascosto l'infante, come si vedrà inseguito), ripiegato all'interno di un contenitore da rullino fotografico.

Sottoposto ad interrogatorio, Raimondi Salvatore forniva dichiarazioni auto ed etero accusatorie, indicando: Alessi Mario, come colui che aveva ideato e proposto allo stesso Raimondi l'esecuzione del sequestro in danno degli Onofri per un riscatto da soddisfare con denaro proveniente dalla cassa postale; Conserva Antonella, moglie dell'Alessi, come colei che si sarebbe dovuta occupare di recuperare il marito e l'ostaggio, dopo il sequestro, conducendo il bambino nel luogo della prigionia.
Tali dichiarazioni venivano immediatamente contestate all'Alessi ed alla Conserva, i quali ribadivano la propria estraneità.
Alessi, però, chiedeva di essere nuovamente sentito e nel nuovo interrogatorio, pur ammettendo le proprie responsabilità nel sequestro, accusava il Raimondi della morte del piccolo Tommaso, escludendo qualsiasi forma di partecipazione della moglie.
In sostanza Alessi ammette le proprie responsabilità, ma solo nell'esecuzione del sequestro di persona, attribuendo la fase di ideazione e di preparazione, come quella di uccisione del piccolo Tommaso al Raimondi.
Ha raccontato Raimondi che fu Alessi a proporgli il sequestro di Tommaso e che analoga proposta era stata rifiutata da altre persone interpellate dallo stesso.

Questa circostanza Raimondi l'avrebbe appresa, circa dieci giorni dopo il sequestro, da tale Angelo Picchierri (soggetto effettivamente esistente, ma non sentito a riscontro dagli inquirenti), il quale gli aveva detto che era stato avvicinato allo scopo da Alessi circa una decina di giorni prima del sequestro.
Il Raimondi avrebbe saputo dell'intenzione di Alessi di rapire il piccolo Tommaso in un periodo che lo stesso identifica con l'ondata di freddo che aveva investito l'Italia tra gennaio e febbraio («c'era la neve fitta»), allorché si era recato a casa di* Alessi per offrirgli un lavoro (lecito). Alessi gli disse che stava montando un lucernaio a casa del direttore della posta che, come tale, deteneva le chiavi dell'Ufficio postale; che l'Onofri gli aveva raccontato dell'esistenza di un bunker immenso stracolmo di soldi; che si poteva ricavare dal rapimento un milione di euro; milioni divenuti cinque dopo il sopralluogo nel luogo di detenzione del  bambino;  che, per quanto diceva Alessi, si doveva tenere il bimbo un giorno ed una notte, perché il padre non ci avrebbe messo molto a prendere il danaro.

In un primo momento i tre avevano deciso di eseguire il rapimento del bambino la mattina. La decisione era stata presa a casa di Alessi un pomeriggio, prima del 20 febbraio, quando Raimondi, Alessi e la Conserva si erano ritrovati seduti intorno al tavolo. Alessi, infatti, aveva spiegato che il bambino si poteva prendere anche al mattino perché nel corso della frequentazione della famiglia Onofri avevano appreso che la Pellinghelli non lavorava per accudire Tommaso. Alessi, pertanto, aveva congegnato di sequestrare Tommaso e la madre usando la propria auto per il trasporto degli ostaggi. Poi ci avrebbe ripensato perché l'esecuzione del piano era troppo impegnativa.

Alessi voleva prendere proprio Tommaso perché era «piccolo, non ricorda nulla e non parla». In seguito avrebbe parlato della cascina abbandonata dove avrebbero potuto mettere il bimbo per una sola notte e loro tre si sarebbero alternati nel fare la guardia.
Nello stesso periodo, lui stesso, l'Alessi e la moglie eseguirono un sopralluogo sui luoghi dove nascondere il bambino e farsi consegnare il riscatto. La ricognizione fu eseguita con la macchina dell'Alessi, che guidava. Raimondi ha affermato: di avere avuto l'impressione che i due (Alessi e Conserva) conoscessero già il posto; che questa impressione venne confermata dai compiici, i quali gli dissero che erano andati in estate in vacanza a Citerna e nella zona di Bardi e di Varsi; che per raggiungere la cascina imboccarono la strada provinciale fino alla stazione di Selva, dove presero la strada che si trova sulla sinistra. A Selva Citerna, proprio in cima, c'era la cascina; che durante il viaggio di andata, mentre l'Alessi guidava, Raimondi, che si trovava seduto dietro, con un blocco notes tracciava - su indicazione dell'Alessi - una piantina, che avrebbero fatto recapitare all'Onofri per farlo arrivare al luogo in cui portare il riscatto; che questo luogo - un paesino di nome Villosa - visionato lo stesso giorno, perché Alessi conosceva una strada con la quale si tagliava da Selva Citerna fino a Varano, risparmiando parecchi chilometri; che Alessi aveva preventivato di ostruire la strada in modo da impedire ad Onofri, che avrebbe quindi preso la motocicletta dell'Onofri ed il denaro ed avrebbe raggiunto il Raimondi, rimasto in attesa, a bordo della Tipo 1600 dello stesso Alessi, in un altro punto.
Prima dell'esecuzione del sequestro Alessi varie volte, sia la mattina che la sera, aveva fatto la "ronda", appostandosi nel fienile nei pressi dell'abitazione degli Onofri, per controllare i movimenti delle persone che frequentavano la casa e tre giorni prima del sequestro era andato a prelevare il cane, che abbaiava troppo e poteva disturbare il "piano", portandolo a san Secondo.
Alessi aveva stabilito che alle sette in punto doveva essere dagli Onofri, perché a quell'ora si sedevano a tavola.
Raimondi ha ammesso anche di essersi recato una volta la mattina a fare un appostamento, ma da solo. L'unica volta, prima del sequestro, in cui si sarebbe recato con Alessi a Casalbaroncolo, sarebbe stato il primo marzo, allorché avrebbero dovuto prendere il bambino. Nell'occasione, però, abbandonarono il piano, poiché improvvisamente si accesero le luci del campo sportivo nelle vicinanze.
Raimondi ammette di avere procurato le armi utilizzate nel corso del sequestro, nonché il casco da motociclista utilizzato dall'Alessi per travisarsi: la pistola, una pistola giocattolo a gas, l'avrebbe avuta da anni, ma l'avrebbe portata all'Alessi, a casa sua, una settimana prima e proprio in previsione del sequestro.
Nella stessa occasione diede anche un coltello ed una piccola vanga, di dimensioni tali da potere sere tenuta in tasca, che il Raimondi ha detto essere «come quella che ieri sera ho visto di sfuggita con i carabinieri», da questi ritrovata nei pressi del cadavere del piccolo Tommaso.

Alessi invece ricostruisce in modo parzialmente difforme le fasi precedenti l'esecuzione del sequestro.
Anche Alessi colloca a gennaio l'incontro del quale sarebbe stata tirata fuori l'idea del sequestro. Invero, Raimondi aveva "conosciuto" gli Onofri nel mese di novembre 2005, allorché si era recato sul cantiere di Casalbaroncolo a far visita all'Alessi. Quando a gennaio Alessi e Raimondi si incontrano, questi avrebbe affermato di avere preso informazioni sul conto dell'Onofri, scoprendo che l'ufficio che dirigeva movimentava molti milioni.
Il 2 o 3 febbraio, quindi, i due si sarebbero rincontrati a casa dei Raimondi, ma, attesa la presenza del Butticè, sarebbero andati a parlare per strada. In questa occasione Raimondi gli avrebbe proposto di prendere il bambino e, vedendolo dubbioso, lo avrebbe condotto al "passo delle cento croci", per fargli vedere il casale dove tenere l'ostaggio.
Il 17 febbraio, Raimondi gli comunicò di essere pronto.
Conferma l'Alessi che l'idea originaria era quella di eseguire il sequestro la mattina, prelevando la moglie ed il figlio più piccolo di Paolo Onofri. Si appostarono, pertanto, al bar di Chiozzola, lui, Raimondi ed una persona legata a questi, in attesa di vedere passare l'Onofri ed essere sicuri di non trovare ostacoli nel sequestrare i due. Ma in casa non c'era nessuno.
Il giorno successivo Alessi e Raimondi si sarebbero incontrati al passaggio a livello di Casalbaroncolo, ognuno con la propria autovettura. Una di queste, quella dell'Alessi, sarebbe stata occultata per essere utilizzata per la fuga. Videro passare Onofri, ma non trovarono la moglie.
Il 19 febbraio sarebbero nuovamente stati il terzetto del giorno 17. Anche in quest'occasione non riuscirono nell'intento perché Paolo Onofri tornò inaspettatamente a casa dopo 15 minuti.
Il tentativo successivo sarebbe stato quello del primo marzo, di cui si è detto, nel corso del quale i due si recarono a Casalbaroncolo con lo scooter dell'Alessi (che era stato consegnato al Raimondi - con l'accordo che lo tenesse in pagamento del credito di 1.300 euro vantato verso il complice - il precedente 28 febbraio).
Alessi ha aggiunto che un altro fattore che sconsigliò l'azione era che il suo passamontagna lasciava intravedere troppo della faccia. Fatto sta che la sera del primo marzo Raimondi - che pure rivendica la proprietà del motoveicolo - lo ricondusse presso l'abitazione dell'Alessi.

II 2 marzo Raimondi sarebbe tornato portando con sé il casco nero con il disegno multicolore a forma di fiamma, un coltello abbastanza lungo, lo zaino ed abiti con cui si cambiò, infilando quelli di ricambio nello zaino. Particolare di rilievo, taciuto nella precedente occasione in cui era stato sentito, era quello per cui Raimondi avrebbe procurato schede telefoniche anonime, una delle quali avrebbe dovuto essere lasciata all'Onofri, in modo da poterlo contattare senza lasciare tracce. Ma nel marasma del sequestro, la consegna sarebbe sfuggita allo stesso.

Nel corso dell'interrogatorio innanzi al P.M., Alessi, invece, si era limitato ad attribuire sempre l'idea del sequestro al Raimondi, al quale sarebbe venuta sapendo che dieci anni prima l'agenzia postale dell'Onofri aveva subito una rapina milionaria. Aggiungeva che il 2 marzo Raimondi si era fatto accompagnare da lui da tale Buttìcé Andrea. Andato via questi, i due erano andati nel magazzino a preparare gli arnesi (pistola, coltello ecc.), mentre il casco era stato consegnato il giorno prima.

Le dichiarazioni del Raimondi convergono con quelle dell'Alessi in ordine alle modalità di esecuzione del sequestro.
La sera del sequestro i due i criminali si recarono con lo scooter (che secondo Alessi lasciava meno tracce) a Casalbaroncolo, parcheggiando nel fienile di fronte l'abitazione degli Onofri. Alessi faceva saltare la corrente con una spina aggiustata   in modo da creare un cortocircuito (che si preoccupava di recuperare dopo il sequestro, così da non lasciare tracce).
Raimondi ammette di avere materialmente prelevato il bambino dal seggiolone: mentre Alessi puntava la pistola al bimbo, lui legava prima Paolo Onofri, poi la Pellinghelli e poi Sebastiano. Alessi quindi andava a prendere lo scooter, mentre Raimondi, a piedi, con il bimbo in braccio, raggiungeva il complice, che sopraggiungeva con la moto, sulla strada principale. Qui Raimondi passava il bambino all'Alessi, che lo nascondeva sotto la sua giacca, tirando la cerniera sopra il viso del bambino, e si poneva alla guida, dirigendosi sulla strada del Taglione. Arrivati in fondo alla strada (che il Raimondi identifica come quella dove ci sono le donne di colore che si prostituiscono), dopo due svolte a destra, nel punto che Alessi aveva concordato con la Conserva (che doveva andare a prelevare il marito ed il bambino), fermava il motoveicolo, facendo scendere Alessi.
Questo punto è stato identificato con precisione dal Raimondi che ha condotto in loco i carabinieri, i quali hanno effettivamente riscontrato la presenza di una sbarra, in parte divelta ed aperta, posta a delimitazione di una strada in declivo che conduce sull'argine sinistro del fiume Enza.

A questo punto le versioni di Alessi e di Raimondi divergono in modo difficilmente sanabile.
Afferma Raimondi di essersi cambiato d'abito, di avere telefonato alla Conserva perché andasse a prendere il marito e di essersi poi allontanato dal luogo, lasciando Alessi con il bambino, vivo e vegeto, e portandosi dietro gli abiti - poi bruciati in una traversa di via del Cane - la pistola ed il coltello - gettati nel fiume.
Raimondi afferma ancora di avere appreso della morte del bambino solo il giorno dopo, quando, verso le ore 18.00, Alessi, la Conserva ed il loro bambino si recavano a casa sua. Raimondi si tratteneva al bar sottocasa con il solo Alessi, che gli diceva a bassa voce che lui stesso aveva ucciso, soffocandolo, il bambino, che non era mai stato portato al casale in Citerna; che tenere il bimbo al casale sarebbe stato troppo rischioso e per questo aveva dovuto strangolarlo; che la moglie non sapeva che il bambino era stato ucciso, poiché le aveva detto che era caduto accidentalmente dallo scooter e gli chiedeva di confermare questa versione.
Alessi gli manifestava l'intenzione di chiedere ugualmente il riscatto, dicendo: «adesso lasciare sarebbe da idioti»; al che Raimondi, gli avrebbe detto: «adesso continuare sarebbe da idioti».
La Conserva, quando li raggiunse, manteneva verso Raimondi un atteggiamento freddissimo ed aveva le lacrime agli occhi. Andando verso la macchina Alessi parlava dell'accaduto in modo che la moglie potesse sentirlo, dicendo che lo scooter aveva urtato una pietra e che il bambino era volato; che dopo che era caduto aveva provato inutilmente a rianimarlo.

Alessi in ordine alla morte del bambino ha offerto due versioni parzialmente differenti: nel corso dell'interrogatorio innanzi al pubblico ministero in data 1 aprile 2006, alle ore 18.45, ha affermato che l'idea di uccidere il bambino era stata del Raimondi, il quale, impaurito dall'aver visto una macchina della polizia, gli disse che si dovevano sbarazzare del bambino, che avrebbe dovuto portare con sé a S. Ilario, ove c'era ad attenderlo in autovettura un complice - all'Alessi sconosciuto - che l'avrebbe accompagnato a Citerna. Ma, impaurito - Raimondi  prendeva il bambino, portandolo dietro un dosso, mentre lui aspettava sulla strada. Quando Alessi raggiungeva Raimondi per avvertirlo che in strada non vi era più nessuno, questi gli diceva che aveva ormai soffocato il bambino.
Alessi avrebbe visto Raimondi che «picchiava il bambino alla gola». Vedendo     ciò sarebbe fuggito via, poi però sarebbe tornato indietro ed avrebbe aiutato il complice a sotterrare il piccolo. Quindi si sarebbe fatto accompagnare al bar di Casaltone, dove avrebbe incontrato la moglie.
Nell'interrogatorio dinnanzi a questo giudice ha detto che entrambi erano stati presi dal panico per la presenza di una macchina che, procedendo velocemente, ritenevano essere al loro inseguimento. Una volta fermato il motoveicolo vicino il passo carrabile, Raimondi avrebbe preso il bambino e lo zainetto, nel quale aveva il cambio dicendo: «vado a sistemare tutto». Lui, invece, rimaneva sulla strada a controllare il traffico (!). Raimondi tornava sulla strada dono cinque minuti, dicendo: «il bambino è soffocato», quasi fosse un evento accidentale.
A questo punto Alessi si sarebbe spostato di una ventina di metri, accertandosi che non passava nessuno. Tornato dal Raimondi, vedeva questo che con una piccola vanga colpiva Tommaso. Ha aggiunto Alessi che la vanga era sua e che l'aveva messa lui nel sottosella dello scooter, dovendo servire a sotterrare i vestiti una volta arrivati nel casale, dato che il fuoco avrebbe potuto attirare l'attenzione, ma ha anche detto di avere dato a Raimondi il giubbotto, lo scotch ed i guanti perché li bruciasse.

Alla luce di quanto sopra detto, quindi, non vi è dubbio che vi siano non semplici elementi indiziari, ma la piena prova in ordine alla commissione dei delitti contestati ai capi A) e B) a in capo a tutti gli indagati. Evidentemente  le  reciproche chiamate in correità del Raimondi e dell'Alessi, in quanto al contempo auto ed etero accusatorie, non pongono particolari problemi probatori, atteso che entrambi ammettono gli elementi essenziali del fatto: di avere prelevato il piccolo Tommaso con l'intenzione di esigere il riscatto.
I problemi che si pongono nella fattispecie sono quelli dell'attribuibilità dei delitti di cui ai primi due capi anche alla Conserva, così come della configurabilità dell'aggravante di cui al comma 3 nei confronti di quest'ultima e del Raimondi.

[...]

Le dichiarazioni rilasciate da Raimondi sono dichiarazioni rese da coindagato che per le ragioni che saranno di seguito illustrate meritano un giudizio di sicura attendibilità, per la peculiarità della loro genesi, per l'analiticità del racconto e la ricchezza di dettagli, nonché per l'esistenza di riscontri incrociati.
La confessione di Raimondi è credibile, perché fondamentalmente spontanea. Infatti, sebbene fosse incalzato dalle forze di polizia, gli indizi di un certo spessore a suo carico erano costituiti essenzialmente dall'impronta digitale sul nastro da imballaggio [...]: in mancanza di altri elementi si sarebbe trattato di un dato che non avrebbe potuto certo portare ad una affermazione di responsabilità del Raimondi.
Il peso della responsabilità morale per quanto successo e l'impossibilità di quietare i sensi di colpa a fronte della costante attenzione dedicata dai mass media alle reazioni che il caso aveva provocato nell'opinione pubblica, facevano crollare il Raimondi che ammetteva le proprie responsabilità e ricostruiva nel dettaglio la vicenda, conducendo le forze di polizia nei luoghi ove era stato condotto il piccolo Tommaso.
Raimondi rende la stessa versione dei fatti nelle tre diverse occasioni nelle quali viene sentito dagli inquirenti e la medesima versione offre anche ai carabinieri che accompagna nel luogo in cui asserisce di avere lasciato Alessi ed il povero Tommaso. Ogni volta che è stato sentito Raimondi ha fornito la stessa versione anche su particolari che per lui potevano non essere significanti. [...]

Le dichiarazioni accusatorie del Raimondi verso la Conserva, che viene indicata come sempre presente ed attiva nella fase di ideazione ed esecuzione del sequestro, inoltre trovano più elementi di riscontro.
Il primo è fornito dai dati estrapolati dai tabulati del traffico telefonico: Raimondi ha affermato di avere chiamato la Conserva con un numero Tim su un Wind, perché andasse a prendere il bambino con le coperte e con il pane. Effettivamente dai tabulati telefonici risulta alle ore 20.17 una telefonata fatta, da una utenza Tim in uso al Raimondi, (...) ad utenza telefonica Wind, in uso all'Alessi, agganciante la cellula di Sorvolo, che offre copertura all'area in cui sorge l'abitazione della Conserva.
Altro riscontro all'attendibilità è dato dal sequestro, presso l'abitazione del Raimondi, della cartina predisposta durante il sopralluogo a Villosa [...].
La logica impone di ritenere che, se il Raimondi avesse avuto effettiva ed autonoma conoscenza dei luoghi, non avrebbe certo avuto la necessità di preparare una simile cartina tenendola a casa in attesa non si sa bene di che cosa, tanto più quando il bambino era stato ucciso ed era venuta meno la sua volontà di procedere al ricatto: è evidente che si tratti di un qualcosa vergato prima del sequestro.
Ancora: Raimondi ha raccontato di aver bruciato i suoi capi di vestiario ed effettivamente ha consentito ai carabinieri di accertare la veridicità di quanto affermato.
Un ulteriore riscontro alla veridicità della versione di Raimondi lo offre involontariamente l'Alessi, spiegando il significato della intercettazione eseguita il 5 marzo, alle ore 21.52, tra l'Alessi e il Raimondi. Nella telefonata, nella quale i due parlano di un lavoro da fare su dei balconi, ad un certo punto si accordano perché la Conserva porti al Raimondi dei documenti. Raimondi ha raccontato che la Antonella nell'occasione gli disse che il bimbo era stato ucciso e che aveva paura delle telecamere di registrazione sopra i semafori nella zona di Sorvolo, dove quella sera era passata prima da sola e poi con il marito.
L'Alessi, nell'interrogatorio, ha confermato che quello della consegna dei documenti era stato un pretesto per mandargli un messaggio con cui chiedeva se aveva bruciato tutto.
Quello che interessa notare, però, sono le frasi che Raimondi attribuisce alla Conserva. Questa, infatti, comunica che il bambino (non era morto, ma) era stato ucciso. Fino a quel momento, infatti, si deve ritenere che la Conserva non avesse saputo come era morto Tommaso e che allora abbia raccolto la confessione del marito, che comunicava al Raimondi.
Da ultimo, si consideri l'atteggiamento della Conserva in sede d’interrogatorio, teso a negare anche le circostanze pacificamente ammesse dal marito, come la presenza del ciclomotore nella rimessa di casa la sera del primo marzo [...].
Ciò posto, non si comprende la ragione per la quale il Raimondi, che non ha manifestato alcun malanimo verso i suoi complici, ma solo resipiscenza, dovrebbe accusare oltre che l'Alessi, anche la Conserva.
Infatti, se da un lato potrebbe comprendersi l'interesse del Raimondi ad accusare l'Alessi dell'omicidio, dall'altro non si comprende quale utilità potrebbe ricavare dalla partecipazione nel sequestro anche della moglie di questi.

La stessa imputazione del capo C), che attribuisce solo all'Alessi ed al Raimondi la responsabilità dell'omicidio di Tommaso, invece, porta ad escludere l'aggravante del comma 3 dell'art. 630 c.p. nei confronti della Conserva.

Per quanto riguarda le dichiarazioni dell'Alessi, non può ripetersi quanto si è detto rispetto al Raimondi.
Lo stesso, infatti, nel corso dell'interrogatorio di fronte a questo Gip ha reso nuove dichiarazioni etero-accusatorie, rispetto a un soggetto finora coinvolto nelle indagini solo come persona informata sui fatti, mai tirato in ballo in precedenza e la cui chiamata in correità, stante i legami di questi con il Raimondi, potrebbero essere solo funzionali a condizionare le dichiarazioni accusatorie di questi verso la Conserva.
Ovviamente si tratta di dichiarazioni accusatorie che devono essere approfondite, ma si deve necessariamente registrare questo dato di novità che, associato con le incongruenze della versione dell'Alessi, portano a ritenere che la confessione di questi sia stata necessitata e per nulla spontanea.
In primis, Alessi ha dichiarato che Raimondi gli avrebbe proposto il sequestro del bambino, dal momento che era stata fatta dieci anni prima all'ufficio postale dell'Onofri una rapina miliardaria e che col sequestro avrebbero potuto guadagnare lo stesso bottino di quella rapina, pari a due miliardi. Ma la circostanza appare irreale, solo se si considera che dieci anni prima Raimondi aveva solo 16 anni, e di certo non poteva essersi informato di quanto successo all'epoca, atteso che nessuna rapina del genere vi era mai stata.
Le dichiarazioni di Alessi circa la paternità del sequestro appaiono ancora meno credibili, ove si consideri che mentre vi erano rapporti di frequentazione tra lo stesso ed Onofri, a casa del quale aveva anche lavorato per 40 giorni, Raimondi avrebbe visto l'Onofri in una sola occasione.
Alessi dice che fu Raimondi a individuare il casale a Citerna, ma ammette di avere redatto la "piantina" insieme a Raimondi e che questi avrebbe dovuto poi farla recapitare. Ma se fosse vero che Raimondi conosceva i luoghi e doveva provvedere alla consegna della mappa tramite una sua amica, per quale ragione necessita dell'assistenza dell'Alessi?
Secondo la versione dell'Alessi, dopo l'uccisione del piccolo Tommaso, Raimondi lo avrebbe accompagnato al bar di Casaltone, dove l'avrebbe raggiunto la moglie in macchina, a prenderlo. Alessi asserisce che alla moglie – che dice estranea ai fatti – avrebbe detto che usciva per un appuntamento di lavoro, chiedendole di andarlo a riprendere alle 20.30.
La domanda che non ha spiegazione logica, alla luce di tali premesse, è perché Alessi non abbia preso la macchina e abbia invece dovuto scomodare la moglie, che doveva accudire il bambino. Unica ipotesi plausibile è che la macchina servisse alla moglie, che poi avrebbe dovuto proseguire verso Citerna (mentre Alessi, agli obblighi della dimora, doveva rincasare), per raccogliere il bambino dopo il sequestro.
Sono di particolare interesse, poi, le dichiarazioni di Alessi circa il modo in cui si sarebbe disfatto di quanto utilizzato nel sequestro.
Alessi afferma di avere dato a Raimondi il giubbotto, lo scotch e i guanti perché li bruciasse. Raimondi, invece, dice che Alessi, mentre si programmava il sequestro, aveva chiesto di bruciare i vestiti anche lui. Poi cambiò idea, ritenendo di provvedervi di persona.
Un dato emerge in modo incontrovertibile: Alessi non aveva con sé alcun cambio d'abito, ma aveva il casco da motociclista. Il che significa che era d'accordo che la moglie l'andasse a prendere: non si spiega altrimenti perché lo stesso non si sia portato il cambio d'abito ovvero si sia allontanato.

Particolarmente illuminanti dell'attendibilità dell'Alessi sono le sue dichiarazioni circa la dispersione del casco da motociclista: prima afferma di averlo buttato in un cassonetto a Chiozzola; poi si corregge, affermando che vi avrebbe provveduto il Raimondi. Raimondi, invece, riferisce che il complice gli disse di avere buttato il casco in un cassonetto.

Ma ancora più interessanti sono le dichiarazioni dell'Alessi circa il possesso da parte del Raimondi della vanga con cui avrebbe finito il povero Tommaso.
Alessi ha dichiarato che la vanga utilizzata era sua e che l'aveva messa lui nel sottosella dello scooter, dovendo servire a sotterrare i vestiti una volta arrivati nel casale, dato che il fuoco avrebbe potuto attirare l'attenzione. Con questo afferma che il vano sotto la sella dello scooter era occupato dalla vanga e, a precisa domanda, chiarisce che lo zaino era agganciato nello spazio libero tra i piedi del conducente.
Un primo interrogativo che sorge, però, è: perché portare la vanga sul motorino per seppellire i vestiti, se doveva raggiungere Citerna in macchina, nella quale la vanga, come i vestiti, potevano essere occultati?

Il Raimondi fornisce una versione completamente diversa: esclude in modo categorico che sulla moto fosse stata caricata una vanga o un oggetto simile, poiché il sottosella era occupato dallo zaino. Racconta ancora Raimondi che Alessi gli avrebbe chiesto la vanga per scavare una trincea intorno alla cuccia dei suoi cani una settimana prima del sequestro e che dopo di allora non ebbe più modo di vederla. Si trattava di una piccola vanga [... ] della lunghezza di una ventina di centimetri e priva di manico, ossia di dimensioni tali che poteva essere tenuta in tasca.
Sul luogo sono state trovate non una, ma due vanghe delle caratteristiche descritte: una, con il manico bruciato, nella vicinanza della sbarra di chiusura della strada di accesso all'argine dell'Enza; l’altra nei pressi del cadavere di Tommaso.
È di estrema importanza  comprendere  se entrambe siano pertinenti al reato o se la presenza di una o di entrambe sia solo occasionale.
Vi è da dire che non si comprende per quale ragione la vanga avrebbe dovuto essere trasportata sul motoveicolo. Infatti, non è credibile - perché difficilmente praticabile e troppo rischioso - che Raimondi dovesse raggiungere Citerna con il solo bambino a bordo dello scooter e qui seppellire gli abiti. Se effettivamente avesse avuto un complice ad attenderlo, allora sarebbe stato più comodo affidare a questi la vanga e gli abiti peri il cambio. Il possesso della vanga da parte di uno, o di entrambi gli indagati, si può solo spiegare con la preordinazione dell'omicidio e dell'occultamento del cadavere: la vanga poteva servire a scavare la fossa nella quale celare il corpicino.
Ma vi sono due dati che portano a ritenere poco credibili le accuse che vengono rivolte al Raimondi: perché doveva finire il bambino con la vanga se aveva a sua disposizione il coltello? La vanga sarebbe potuta servire, al contrario, all'Alessi che era armato di una semplice pistola giocattolo.
Il secondo elemento è che Raimondi, per quanto collabori e per quanto conduca gli investigatori fino alla sbarra, non è stato, invece, in grado di indicare la posizione del corpo di Tommaso. Cosa che invece che fa l'Alessi, il quale è l'unico dei due ad ammettere di avere seppellito il piccolo Tommaso. Non solo. L'Alessi particolareggia il suo racconto con una circostanza della quale il Raimondi viene informato dagli stessi investigatori, ossia che Tommaso era stato colpito alla testa. La Tac ha evidenziato una profonda ferita al capo, compatibile con l'uso di un corpo contundente. Se Raimondi avesse voluto calunniare Alessi, di certo non avrebbe omesso questo particolare. Invece lo stesso riferisce del solo strangolamento (comprovato anche questo dai risultati della Tac), per come appreso dall'Alessi.

In definitiva, Raimondi appare credibile perché non vi è logica nell’informare gli investigatori della morte di Tommaso, condurli vicino il luogo del seppellimento - conscio che approfondite ricerche avrebbero portato al ritrovamento anche senza la sua collaborazione - e poi evitare di indicare l'esatto punto di sepoltura del corpicino.
Ma anche le circostanze secondarie delle due versioni portano ad una valutazione di attendibilità di quella del Raimondi.
Secondo Alessi, Raimondi si sarebbe fatto prendere dal panico per la presenza di traffico veicolare. A parte che non si comprende per quale ragione - se non la condivisione dell'azione del correo - se egli stesso aveva mantenuto la calma non abbia bloccato Raimondi, Alessi riferisce di una circostanza che non appare credibile per il suo solito ondeggiamento [una volta il timore sarebbe stato creato da una macchina lanciata a velocità; altra da una macchina della polizia con acceso (non le sirene, ma) il pannello di segnalazione], nonché per l'irrealtà del suo comportamento: mentre il complice uccide l'ostaggio, ossia la fonte dei soldi, Alessi sarebbe rimasto a controllare il traffico (!) su una desolata via di campagna.
Per credere a ciò si deve solo pensare che lo stesso abbia fatto da palo, agendo in accordo con Raimondi.
La spiegazione che offre il Raimondi delle motivazioni dell'Alessi, appaiono molto più plausibili e congruenti con la sua logica criminale: sceglie Tommaso, perché più facilmente "occultabile" e perché privo di quello sviluppo necessario a rendere un domani la testimonianza; sceglie di ucciderlo, perché cosa più sicura e meno rischiosa che tenerlo ostaggio in un casale, senza però perdere l'intenzione di estorcere denaro agli Onofri.
Vi è un'altra   spiega zione possibile, che si collega al mancato ritrovamento delle calzature utilizzate dall'Alessi. Si tratta di una semplice supposizione, ma che è indotta dall'atteggiamento dell'indagato e della Conserva, che addirittura negano che il predetto possedesse le scarpe descritte dal complice (da lavoro, scure con profili rossi).
Si tratta di una ipotesi ancora peggiore di quella contestata, ossia che il bambino sia stato finito a calci e che la vanga (o le vanghe) siano state portate sul luogo dalla Conserva (però effettivamente ignara della reale sorte del bambino).

Alla luce di quanto detto, risulta che Alessi si deve ritenere gravemente indiziato dell'uccisione del piccolo Tommaso, atteso che le dichiarazioni accusatorie del Raimondi trovano plurimi riscontri fattuali e logici.
Non si può dire altrettanto per il Raimondi. A suo carico gravano solo le dichiarazioni dell'Alessi che, al momento, sono prive di riscontri e sono, sul punto, poco credibili intrinsecamente. [...]
Sussiste, inoltre, il pericolo di reiterazione del reato ex art. 274 lett. C c.p.p. [...]
Questo pericolo si desume, nel caso concreto, dalle modalità dello stesso fatto indicative del fatto che il sequestro non è stata una iniziativa estemporanea, ma il frutto di un piano lungamente studiato.
Lo prova la circostanza del procacciamento di schede anonime (v. sul punto le dichiarazioni Gandolfi) per tenere le comunicazioni; l'esecuzione di appostamenti condotti nell'arco di un mese; la scelta di un obiettivo accuratamente conosciuto da uno dei complici; la preventiva individuazione di un luogo isolato per l'occultamento dell'ostaggio; il procacciamento di mezzi di travisamento che potessero essere dispersi senza dare nell'occhio (la Conserva ha raccontato di possedere tre caschi da motocicletta; non di meno di Alessi ha indotto Raimondi a procacciarne altro - da lungo tempo non usato - dal fratello di questi).
Ancora è da valutare il fatto che nessuno degli indagati gode di una attività lavorativa (la Conserva addirittura ha spiegato a questo giudice di avere rifiutato il lavoro avventizio, ritenendo non congrui gli orari con i propri interessi), vivendo in sostanza di espedienti.
Alla luce della dimostrata capacità di commettere un terribile delitto in danno di piccoli innocenti, non può che ritenersi un livello delinquenziale che porta a ritenerli capaci di commettere altri crimini.
In relazione al congiunto giudizio sulla personalità, le specifiche modalità e circostanze del fatto (...) a loro volta possono essere utilizzate anche nella valuta-zione della pericolosità dell'indagato, nelle ipotesi in cui questa debba essere desunta da "comportamenti o atti concreti" [...].
Occorre però spendere sul punto ancora due parole.

È considerazione che vale per tutti gli imputati quella loro assoluta mancanza di morale.
Con il reato commesso gli stessi hanno dimostrato, in sostanza, la mancata condivisione degli ordinari valori su cui si fonda la convivenza civile. Lo stesso atteggiamento avuto nel corso dell'udienza di convalida dimostra, da un lato, quello di Raimondi, la mancata ponderazione di tali valori: lo stesso, se avvertiva il peso morale implicato dalla uccisione di un bambino, ha invece parlato del suo sequestro come una evenienza del tutto normale. Dall'altro lato, l'Alessi e la Conserva, invece, hanno mostrato una assoluta insensibilità, preoccupandosi solo delle conseguenze giuridiche dell'atto, ma non sembrando minimamente interessati alla sorte del bambino, la cui morte era raccontata dall'Alessi come un evento accidentale per il quale non sembrava esprimere alcun rammarico e del quale non sembrava neppure essere responsabile.
Non si può poi tacere, in danno dell'Alessi, non solo il fatto che lo stesso ha commesso il reato mentre si trovava limitato nella sua libertà personale per effetto di misura coercitiva applicata da altro giudice, ma anche il suo coinvolgimento in un affare di riciclaggio di denaro, del quale ancora recalcitra a dare informazioni.
Considerata la gravita del fatto non vi può essere misura proporzionata ed adeguata diversa dalla custodia in carcere.
Il livello delinquenziale dei tre soggetti; la totale mancanza di valori dimostrata nel compiere il sequestro e - allo stato, l'Alessi - nell'uccidere, rende assolutamente concreto il rischio che detti soggetti, in stato di maggiore libertà, possano commettere gravi delitti contro la persona e/o mediante l'uso di mezzi di violenza personale.
Sussiste, inoltre, il pericolo concreto di inquinamento probatorio rispetto all'Alessi ed alla Conserva.
Lo testimoniano le intercettazioni telefoniche, nel corso delle quali è stata registrata una conversazione con la quale Alessi cercava di concordare con un suo ex dipendente un alibi per la sera del 2 marzo, nonché il tentativo della Conserva di rendere una versione dei fatti il più possibile aderente all'alibi originariamente fornito dal marito alle forze di polizia.
Non ritiene, invece, questo giudice che sussista il pericolo di fuga, alla luce della restrittiva giurisprudenza di legittimità (v. ex pl. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 775 del 02/12/2005), non avendo gli indagati neanche le risorse economiche per provvedere al proprio sostentamento in Italia.

P.Q.M.

Visti gli artt. 273, 274, 275, 285 e 292 c.p.p.

DISPONE

Nei confronti di Raimondi Salvatore, Alessi Mario e Conserva Antonella, innanzi generalizzati, la misura personale coercitiva della custodia in carcere ed ordina agli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria di trattenerli presso la locale Casa Circondariale affinché vi rimangano a disposizione dell'Autorità Giudiziaria.

Visto l'art. 27 e.p.p.

DICHIARA

la propria incompetenza ai sensi dell'art. 51 comma 3 bis c.p.p. ed ordina la trasmissione degli atti alla procura della Repubblica presso il Tribunale di Bologna - Direzione distrettuale Antimafia.

Tribunale di Parma

Depositato il 5 aprile 2006 ore 18,55

II giudice per le indagini preliminari
dott. Armando Mammone

 

LA NEWSLETTER di MISTERI D'ITALIA viene inviata gratuitamente, con cadenza quindicinale, a tutti coloro che ne faranno richiesta.
Essa è parte integrante del sito
http://www.misteriditalia.it
http://www.misteriditalia.it
Direttore: Sandro Provvisionato
Webmaster: Matteo Fracasso
AVVERTENZA ai sensi del Codice in materia di protezione dei dati personali Dlgs n. 196/2003.
Gli indirizzi e-mail presenti nel nostro archivio provengono da richieste di iscrizioni pervenute al nostro recapito e nelle quali è stato prestato il consenso in base al vigente Dlgs n. 196/2003 (art. 23, 24, ) oppure da richieste e consensi prestati ai sensi della normativa precedente e non più in vigore dal 31.12.03.
Il conferimento dei dati personali è obbligatorio per poter ricevere le newsletter.
Il recapito delle newsletter è gratuito, ma è condizionato dall'ottenimento dei dati.
Gli autori del sito si riservano il diritto di interrompere la fornitura della newsletter nel caso in cui le informazioni fornite si rivelino essere non veritiere.
I dati raccolti vengono utilizzati esclusivamente per l'invio della presente newsletter e trattati mediante sistemi automatizzati e sistemi informatici, secondo quanto previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali introdotto con Dlgs n. 196/2003.
Per essere rimossi dalla lista inviare un e-mail vuota con oggetto "cancellazione dalla newsletter" a:
cancellazione@misteriditalia.com